Quella di ieri è una giornata strana: a differenza delle precedenti, infatti, nessuno ha insultato Totò Cuffaro. La strada che porta l’ex governatore alle Europee di giugno si sta dimostrando più tortuosa del previsto. Era impensabile che, a fronte di un apparentamento doveroso, non scattassero critiche né riferimenti al passato giudiziario del segretario della Dc; ma che all’interno dello stesso partito, Forza Italia, si praticasse la doppia morale, questa, in effetti, può apparire come una novità.
Quando sono rimasti meno di 55 giorni dalla data del voto, gli azzurri sembrano l’unico sentiero praticabile. Ormai estenuato dalle trattative a tutti i livelli, Cuffaro avrebbe ceduto anche all’ultimo dei divieti: vedere il nome della DC campeggiare sulla scheda elettorale. Renzi, col quale i rapporti erano più che buoni, non gliel’ha concesso, finendo per estrometterlo dalla lista degli “Stati Uniti d’Europa” con la Bonino. Ma neppure Tajani applicherà una deroga: sul logo di Forza Italia, nella parte bassa, comparirà a stento la sigla di ‘Noi moderati’, il partitino di Maurizio Lupi e Saverio Romano. Ed è sfruttando questo cavallo di Troia che Cuffaro potrebbe essere della partita.
Non è più così scontato, infatti, che il nome di Antonello Antinoro, fedelissimo di Romano, sia ai nastri di partenza; al suo posto, si vocifera, potrebbe esserci un esponente della DC, o comunque riconducibile ad essa. Una situazione imbarazzante per le due ali di Forza Italia che, per lunghi mesi, hanno giocato a rimbalzarsi la palla da una sponda all’altra. La prima ala, quella che conta di più, è capeggiata da Caterina Chinnici: l’europarlamentare “scippata” al Pd da Tajani, nell’autunno scorso si è presentata a Taormina, assieme al vicepremier, per sbarrare la strada a un’intesa fra Schifani e Cuffaro che molti davano per fatta. Questione di opportunità morale, che però – inquadrata con le lenti di oggi – rivela pure un calcolo politico. La Chinnici potrebbe accontentarsi di arrivare terza, sperando che Tamajo e Falcone (i due favoriti d’obbligo) non accettino il seggio a Bruxelles in caso d’elezione. La presenza di un cuffariano in lista, invece, complicherebbe i sogni del terzo mandato europeo, essendoci posto (sondaggi alla mano) soltanto per uno.
Così, già da alcuni mesi, è in corso un tentativo di delegittimazione mediatico ai danni di Cuffaro, i cui voti – secondo il parere autorevole di Rita Dalla Chiesa – “puzzano di mafia”. La Chinnici ha avuto una sponda da quasi tutto l’arco costituzionale: contro il passato di Cuffaro si sono scagliati Calenda, Pizzarotti (di + Europa), la Castelli (del movimento di Cateno De Luca), il Pd, i grillini e persino i leghisti, che nelle ultime ore hanno escluso qualsiasi accordo con l’ex presidente della Regione. E anche l’Udc, consultato da Totò, ha sbattuto le porte in faccia. Tutti tranne uno, Maurizio Lupi: “Totò Cuffaro come tutti i cittadini ha scontato la sua pena, anche se si è sempre dichiarato innocente. Lo conosco molto bene, è ancora stimato e voluto bene dalla sua gente. Vogliamo dialogare con tutti, questo pregiudizio a me non piace”, ha detto il leader di Noi Moderati. Da qui lo spiraglio che Schifani – allo scopo di garantire solidità al governo (la Dc gode di sei parlamentari all’Ars con l’ultima aggiunta di Giuffrida) – potrebbe utilizzare per riportare dalla propria parte l’amico “tradito”. O comunque non difeso abbastanza quando autorevoli forzisti, da Tajani alla Chinnici a Falcone, decisero di sbattergli le porte in faccia perché “il partito non è un autobus”.
Schifani ha ingoiato l’amaro calice e, assieme a Marcello Caruso, ha cercato soluzioni alternative. Compresa quella di invitare al banchetto delle Europee uno tra i più acerrimi rivali di Cuffaro, Raffaele Lombardo. Anche questo è un altro spiraglio. Significa che al netto degli apparentamenti strutturati, di quelli che appaiono sulla scheda elettorale, in Forza Italia c’è spazio per (i voti di) tutti. Per quelli del Mpa e, volendo, per quelli della Democrazia Cristiana. Così la questione si ripropone, con l’aggiunta di un dettaglio: è possibile coinvolgere Cuffaro sotto mentite spoglie, cioè convincendolo a dirottare i suoi 140 mila voti su un centrista che non vesta la casacca del suo stesso partito; o sarebbe forse un po’ troppo dopo la rinuncia al simbolo?
Non che esistano troppe alternative. Perché i voti di Cuffaro – è questa la verità più alienante rispetto al giudizio tranchant sulla persona e sui trascorsi – servono e fanno gola a tutti. “Con l’ultima elezione regionale, due anni fa, abbiamo mosso 140 mila elettori – ha dichiarato il segretario della DC, qualche giorno fa, al Riformista -. Adesso dopo due anni di lavoro, di sacrificio, di congressi fatti in tutti i Comuni abbiamo fatto il congresso nazionale: siamo anche nel più piccolo comune siciliano, il più sperduto di mille abitanti. Abbiamo rimesso in piedi non solo un’idea, ma anche un metodo: quello di riunire le persone, farle tesserare e portarle a votare. Pensiamo in Sicilia di muovere 250.000 voti. A livello nazionale sono almeno l’1% dei consensi. Tornano utili ovunque e alle Europee sono indispensabili nel collegio delle Isole. Ma ne muoviamo un po’ ovunque in Italia”.
Questa messe di voti farebbe comodo a molti, tra cui Schifani e l’attuale commissario Caruso, per dimostrare che il partito c’è ed è vivo. Ma non alla Chinnici. E nemmeno a Tamajo e Falcone, costretti a dividersi il bottino delle preferenze azzurre. Per qualcuno puzzano, per altri profumano. E così Forza Italia ci fa una pessima figura, perché nessuno degli attori in causa riesce a pronunciare una parola di verità: nell’ipotesi migliore ci si rifugia nel silenzio, che suona persino più imbarazzante dell’insulto.