I primi a fare i conti con la difficoltà di rendere “operativa” la Finanziaria regionale sono i 390 Comuni siciliani. Da Palermo a Catania, il Coronavirus ha congelato le entrate fiscali e tributarie, e adesso gli enti locali faticano a far quadrare i conti. Sia il ragioniere generale del comune di Palermo, Paolo Bohuslav Basile, che il sindaco di Catania, Salvo Pogliese, hanno denunciato il rischio di rimanere a corto di denari per 30 milioni. Il prezzo del mancato gettito, a breve, potrebbe tradursi in una voragine per i conti: Catania, fra l’altro, è reduce da una dichiarazione di dissesto per 1,6 miliardi e non gode di grande salute. Gli enti, data la congiuntura fortemente negativa per lavoratori e imprese, sono stati costretti a sospendere e posticipare il pagamento dei tributi, ma nessuno – non ancora – ha compensato il blocco delle entrate. Ad andare in tilt potrebbero essere i servizi essenziali.
Pogliese, a Repubblica, ha spiegato che “se a settembre non avremo i soldi per pagare le aziende, si bloccherà la manutenzione del verde, gli asili nido chiuderanno e non potremo garantire gli intervento sulla strade”. Uno scenario apocalittico a cui si aggiunge dell’altro: “Abbiamo un grande problema anche con l’azienda di trasporto pubblico – ha spiegato il sindaco di Catania -: oggi i bus da 12 metri possono ospitare solo undici passeggeri a fronte dei cento precedenti. Come pagherò l’azienda senza incassi da biglietti?”. Le ripercussioni rischiano di danneggiare anche Palermo, dove le casse del Comune – oltre ai mancati introiti – devono fare i conti con il bilancio in rosso delle partecipate che grava su Palazzo delle Aquile.
Come riportato da alcuni quotidiani, le perdite di Amat, la società dei trasporti, ha toccato i 5 milioni (nel frattempo, si “architettano” nuove ed esose linee dei tram), mentre la Rap, che gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, è in rosso per 12 milioni e ha uno scenario destabilizzante di fronte a sé: il Consiglio comunale, infatti, ha bloccato l’aumento della Tari per l’anno in corso, ma la spesa abnorme è quella che riguarda il trasporto della monnezza, che a bordo degli autocompattatori finisce in Sicilia orientale. La discarica di Bellolampo è esausta e non rimane altro modo per non essere sepolti. Si tratta di un costo aggiuntivo dal valore imponente, su cui Comune e Regione continuano a rincorrersi da mesi (cioè dalla chiusura dell’impianto Tmb di Bellolampo, che resta in attesa della settima vasca), anche se con un emendamento all’articolo 9 dell’ultima Legge di Stabilità regionale, sono stati liberati 7,5 milioni in relazione agli oneri affrontati dall’amministrazione Orlando per la gestione post operativa delle vasche esaurite. Come per tutti i provvedimenti inseriti in Finanziaria, però, questi soldi non sono nella disponibilità della Regione. Figurarsi dei Comuni.
Leoluca Orlando, che è anche presidente dell’Anci Sicilia, l’associazione dei sindaci, qualche settimana fa aveva lanciato l’allarme: “I Comuni sono a rischio default e in crisi di liquidità, il che significa non riuscire a fronteggiare l’emergenza e già da subito non riuscire ad erogare i servizi essenziali, stipendi compresi. E’ necessario che, in tempi brevi, si affrontino le enormi criticità finanziarie che incombono sugli enti locali e che si intervenga con il tanto annunciato ‘Decreto aprile’ in favore dei comuni italiani”. Il “decreto aprile” del governo nazionale, intanto, si è trasformato in “decreto rilancio”, è stato pubblicato in gazzetta ufficiale da una manciata di giorni e ha messo a disposizione dei Comuni, tutti i Comuni italiani s’intende, risorse per 3 miliardi di euro (finora ne è stato liberato uno: 6 milioni sono toccati a Palermo, quasi 3 a Catania). Oltre alla possibilità di differire dal 30 settembre al 30 novembre il termine per l’approvazione del Bilancio consolidato 2019, quello cioè che annovera al proprio interno i singoli bilanci di tutte le società partecipate. Generalmente in perdita.
Proprio ieri, al termine di una teleconferenza tra i sindaci della città metropolitane e il presidente del Consiglio, Orlando si è accanito contro il premier: “Così continuando Conte darà da solo un’autospallata al proprio governo. Da lui continuano ad arrivare risposte più che deludenti, che non rispondono alle necessità dei territori espresse dai sindaci. Il governo nazionale ed il presidente del Consiglio – ha spiegato il sindaco di Palermo – non possono continuare ad essere condizionati da strutture legate a logiche contabili incompatibili con l’emergenza e con la ripresa economica. Fino ad ora i sindaci, tutti i sindaci hanno tenuto un comportamento responsabile di fronte ai lutti di migliaia italiani e alle sofferenze di milioni di nostri concittadini. Ma questo comportamento responsabile non può essere scambiato per rinuncia ai propri compiti e ruoli”. “Come già detto più volte, – ha concluso Orlando – il Governo nazionale deve immediatamente restituire ai sindaci la possibilità di agire nei propri territori e per le proprie comunità, fissando regole chiare e tempestive per livelli essenziali di sicurezza”.
Anche negli altri comuni siciliani, più o meno grandi, i problemi non mancano. Oltre al pagamento degli stipendi, sono a rischio il trasporto pubblico (come a Trapani) e la raccolta differenziata. Pure la rinuncia forzata all’imposta di soggiorno – dato che il turismo è in lockdown e, probabilmente, lo rimarrà per qualche altra settimana – grava sul portafogli delle amministrazioni locali, specie delle più piccole. A minori entrate corrisponde una minore liquidità. Il “decreto rilancio”, nell’ambito del trasporto pubblico, ha previsto una dotazione iniziale di 500 milioni di euro, per l’anno 2020, per sostenere le imprese del trasporto pubblico di persone oggetto di obbligo di servizio pubblico. La misura si rivolge a coloro che stanno subendo ingenti perdite a seguito della riduzione dei ricavi dalla vendita dei titoli di viaggio per gli effetti derivanti dall’emergenza Covid-19. Mentre la Regione, con l’articolo 12 dell’ultima Finanziaria, ha annunciato un investimento da 165 milioni annui (più di un miliardo in sei anni) per il trasporto pubblico locale su gomma, oltre a 1,3 miliardi per quanto riguarda i trasporti ferroviari e quelli via cielo e via mare per le Isole minori.
Ma siamo alle solite. Quei soldi ancora non si vedono. E chissà per quanto altro tempo non si vedranno. Come ricorderanno i più attenti, infatti, la Finanziaria regionale è “scritta sulla sabbia”, come va sostenendo da tempo il capogruppo del Pd all’Ars, Giuseppe Lupo. Cioè si avvale di risorse incerte, che per essere liberate hanno bisogno dell’ok di Roma e di Bruxelles. E’ il caso, ad esempio dei 300 milioni del fondo perequativo che l’aula di palazzo dei Normanni, credendo di operare nel giusto, ha assegnato ai sindaci per fare fronte alle minori entrate dei Comuni che dispongono l’esenzione o la riduzione di tributi locali dovuti da operatori economici, imprese, enti e associazioni per gli effetti del Coronavirus. Una sorta di “premio” per chi adotta misure di buonsenso in un momento di forte crisi. Un premio, però, che nasconde un’insidia grande quanto una casa: i 300 milioni, infatti, sono vincolati a fondi Poc ed extraregionali, originariamente destinati ad investimenti. Per fare in modo che possano essere usati come “spesa corrente” e stornati dalle finalità iniziali, serve un passaggio burocratico molto ardimentoso e il lasciapassare di Roma in accordo con Bruxelles.
Vero è che l’Unione Europea, in occasione della pandemia, ha concesso una maggiore flessibilità di spesa e sospeso il Patto di Stabilità. Vero è che Roma sembra ben disposta nei confronti delle Regioni e non fa altro, da due mesi a questa parte, di negoziare i termini dell’accordo (anche per le modalità di spesa dei fondi strutturali). Ma fin qui la Sicilia, che ha tenuto i contatti prevalentemente coi ministri Boccia e Provenzano, non è riuscita a cavare un ragno dal buco e, al di là delle tempistiche indicate dall’assessore Armao (tutte scrupolosamente disattese), non si è arrivati a nulla.
Anzi, nei giorni scorsi Armao ha dovuto riprendere i funzionari della Regione che, non ottemperando alla sua circolare, si sono rifiutati di pagare i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei debitori, costretti in fila fuori dalle porte dei singoli assessorati. “Ditemi chi sostiene che le somme sono bloccate e chiederò personalmente l’avvio di una procedura per l’erogazione di sanzioni disciplinari in base al contratto – è stato lo sfogo dell’assessore all’Economia con Blog Sicilia -. Chi sostiene che le linee di spesa sono bloccate mente spudoratamente sapendo di farlo. E’ gente che non ha voglia di lavorare, che non ha a cuore la Sicilia e i siciliani e deve essere sanzionata. Non è ammissibile. Non si cincischia con il pane delle persone”.
Ma è chiaro, fin troppo chiaro, che in questa fase storica la Regione non può sbloccare la spesa senza un cenno da parte dello Stato o dell’Europa. Sarebbe troppo rischioso. Prima, in ogni caso, dovrà fare una ricognizione dei capitoli che è possibile “rimodulare”, onde evitare procedure di infrazione. L’ultima delibera di riprogrammazione dei Fondi Poc – quelli a disposizione della Regione siciliana sfiorano il miliardo e mezzo di euro – risale al 2018. E i precedenti non sono incoraggianti: dei 100 milioni per l’assistenza alimentare previsti dal governo Musumeci, solo una parte (i 30 milioni del Fse, fondo sociale europei) è stata erogata ai comuni, ma sono pochissimi i sindaci ad aver pubblicato i bandi. Il percorso di rendicontazione, assai complesso, ha obbligato la Regione a creare un’assistenza tecnica per i Comuni e pubblicare – solo una settimana fa (l’annuncio dei fondi risale al 29 marzo) – delle istruzioni operative per facilitare il lavoro dei dipendenti comunali. Impiegare fondi destinati ad altre finalità comporta notevoli rallentamenti. Non è detto che i bilanci comunali già falcidiati dalla carenza di trasferimenti, questa volta, possano reggere.