Da stamattina guardo e riguardo le foto di questa specie di garage marchigiano adibito a discoteca. Un’insegna triste sopra un manufatto quasi artigianale, brutto, sporco, coi muri scrostati, ostaggio del tempo che passa. Mi è parso un posto brutto. Brutto e senza nemmeno un richiamo (anche lontano) all’allegria e alla gioia che una discoteca dovrebbe ispirare.
Era solo un garage periferico dove si esibiva un rapper di successo. Ho pensato a questo, a un garage periferico immerso nella Bruttezza e a un rapper che, malgrado la Bruttezza, richiama orde di ragazzini. Questo, a parte la morte dolorosissima di chi è rimasto schiacciato dalla folla, mi intristisce: che la Bruttezza non ci fa più paura.
Mi impaurisce la disinvoltura con cui affidiamo il nostro divertimento a posti tristi, dimenticando che spesso la Bruttezza estetica si accompagna a quella, come dire, funzionale. Gestioni alla carlona, balaustre che cedono, l’ingresso consentito a cani e porci per massimizzare l’introito della serata.
Non sono fra quelli che credono che le tragedie insegnino qualcosa: siamo troppo stupidì e troppo pigri per imparare da quello che succede dentro alle nostre vite. Credo però nel potere malefico della Bruttezza e a quello, drammaticamente sottovalutato e sempre più lontano dalle nostre vite, della Bellezza.