La pretesa del governo di destra di avere una magistratura collaborativa non sarebbe nemmeno così stravagante se l’aggettivo non fosse speso con scopi eufemistici: per collaborativa, infatti, viene intesa una magistratura al servizio, vassalla, che non rompa le scatole all’esecutivo e al suo legiferare, per quanto dozzinale o fantasioso, sui migranti, sui reati universali o meglio glocal, più in generale sulla mania securitaria e repressiva. Per una magistratura del genere servirebbe una Costituzione adeguata essendo inadeguata la vigente, ispirata alla separazione dei poteri, che non è un complotto ma un principio fondamentale delle democrazie liberali.

Sul punto non oso dilungarmi, poiché è stato molto ben approfondito da autorevoli commentatori, come per esempio Donatella Stasio sulla Stampa di sabato 2 novembre, e comunque un po’ su tutti i giornali da un paio d’anni a questa parte. Mi pare invece più trascurata l’altra faccia della medaglia, sull’atteggiamento istituzionale della magistratura. Che, perlomeno da tre decenni, dà talvolta o spesso l’impressione di considerarsi non un potere separato, ma un contropotere. Se ne può coltivare il dubbio se magistrati, impegnati a condurre indagini o a pronunciare sentenze su iniziative o uomini di governo, avevano in precedenza preso posizioni pubbliche, sui social o in piazza, contro quelle iniziative o quegli uomini: è un loro diritto costituzionale, ma non contribuisce alla loro presunzione di imparzialità e al loro prestigio (lo spiegò inutilmente nell’altro secolo Piero Calamandrei). Se ne può coltivare il dubbio se, in conversazioni intercettate, i magistrati, addirittura del Consiglio superiore della magistratura, si ripromettono di fermare un ministro (Matteo Salvini) in ragione dei suoi convincimenti politici. Se ne può coltivare il dubbio se il ministro in questione finisce a processo per sequestro di persona e il suo presidente del Consiglio (Giuseppe Conte) no, come se la Costituzione e la legge ordinaria non attribuissero al presidente del Consiglio le responsabilità politiche delle decisioni dei ministri e gli strumenti per fermarle, se non le condivide. Se ne può coltivare il dubbio se, in chat private, un magistrato – con tutta la buona fede del mondo, ed è un aggravante – definisce pericolosa la premier, e dunque in sé una nemica o perlomeno un’avversaria. Continua su Huffington Post