È un paradosso che ha del grottesco. Più nobile e complesso è il problema, più basso e becero è il linguaggio con cui lo si affronta nelle tribune del web. Prendete il caso Aquarius, la nave carica di migranti che Salvini e compagnia bella (bella?) hanno tenuto forzatamente lontano dalle nostre coste. Dinanzi a un dilemma umanitario così lacerante (essere o non essere umani/ospitali/senzienti?) sui social si è scatenata una guerra che al confronto una gara di rutti sarebbe stata pacata come un simposio sulla “Critica della ragion pura”. L’accessibilità compulsiva alle opinioni pubbliche ha due spaventose controindicazioni: 1) che tratta simulacri di opinione; 2) che è irrimediabilmente pubblica.

Pensateci bene: quanto c’è di superfluo in ciò che oggi, sulle nostre timeline, ci pare necessario? Ognuno ha la sua risposta perché se è vero che siamo ciò che siamo stati, è vero anche che il tempo purtroppo non ci insegna più nulla. Nel caso della Aquarius si sono scontrate fazioni di pacifisti e guerrafondai, di reazionari e anarchici, di bestemmiatori e parrinari, di movimentisti e neo-movimentisti, di cattolici e pastafariani: tutti con lo stesso astio, tutti con gli ormoni social a mille. Ne è venuta fuori una macedonia di frutti avvelenati, una rappresentazione confusa e infelice.

A che servono oggi i luoghi deputati alla santificazione della democrazia se il simulacro di essa viene portato in processione altrove, nell’inferno dei senzadio telematici? A che serve l’argomentazione puntuale se un algoritmo decide che è il caos l’unica legge d’ordine?

Ieri i deputati regionali del Movimento 5 stelle all’Ars hanno abbandonato l’aula quando il presidente della Repubblica di Malta, Marie Louise Coleiro Preca, in visita a Palermo, ha preso la parola. Il motivo della protesta stava, secondo i grillini, nel rifiuto (anzi “nell’atteggiamento”) di Malta nei confronti della nave Aquarius. Insomma doveva essere una cazziata per l’indifferenza nei confronti dei poveri immigrati. Peccato che Malta, in percentuale rispetto alla sua popolazione, accolga immigrati clandestini otto volte più dell’Italia. Con quel che ne consegue. Ecco ripartiamo da qui, dalla conoscenza come antidoto alla virulenza di un dibattito. Sapere, o aver voglia di sapere, è il primo antidoto contro la violenza.