Al pubblico di Taormina, sempre molto esigente in tema di cultura, non saranno piaciuti i numerosi lapsus del ministro Sangiuliano, che ha associato le teorie di Galilei a Colombo e localizzato Times Square a Londra. Così, l’altra sera, chiamato a intervenire durante Taobuk per la consegna di un premio, è stato inondato di fischi. La stessa sorte, nello stesso Teatro, per lo stesso evento, era toccata un paio di estati fa a Nello Musumeci – oggi “collega” di Genny – che finì spernacchiato da Ficarra e Picone sui cantieri autostradali e fischiato all’ennesimo tentativo di darsi meriti che non aveva.
La Sicilia e Taormina sanno essere impietosi, se vogliono. E non sono bastati i ritocchi in fase di montaggio – l’eliminazione dei fischi e l’introduzione di applausi a caso – per metterci una toppa. La Rai – o “Telemeloni” che dir si voglia – si è subito assicurata un alibi: “Rai precisa che il programma non è una produzione interna, ma è stato fornito dall’Associazione Taormina Book Festival, che lo ha realizzato, curandone ogni aspetto produttivo, senza alcun coinvolgimento di mezzi e personale Rai”. Ma questo ha un risvolto della medaglia, che riguarda direttamente l’organizzazione, e in senso più ampio la cultura in Sicilia. In termini di approccio e di diffusione.
L’associazione Taobuk, infatti, gode del sostegno di partner importanti, a cominciare dall’Enit, l’Ente nazionale del Turismo, e della Regione Siciliana, dove l’assessorato al Turismo è retto da Elvira Amata, cioè l’allieva del Balilla. Ma soprattutto gode della luce riflessa della Fondazione Taormina Arte, la cui direttrice artistica (di fresca nomina) è una vecchia conoscenza come Gianna Fratta, nome buono per tutte le istituzioni culturali dell’Isola. Ottima professionista, ma indubbia collezionista d’incarichi. L’abbiamo vista a capo dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, in qualità di Direttore artistico, e per un periodo è diventata la project manager (102 mila euro di compenso) delle Celebrazioni belliniane, un nuovo format studiato dalla corrente turistica di Fratelli d’Italia, costato un bel gruzzolo di risorse regionali (di cui una buona fetta destinate alla promozione e alla comunicazione, per altro curate dall’unico partecipante alla procedura negoziata per l’affidamento del servizio promopubblicitario: la VM Agency di Palermo).
Scavando si trova di tutto. Affari e consulenze più o meno legittime, in cui gli incaricati sono i soliti noti. Sempre a Taormina, divenuto il baricentro delle fortune culturali patriote, ruotano gli interessi di Beatrice Venezi, che è stata Direttore artistico di Taormina Arte prima della Fratta e che nel frattempo la Sinfonica, guidata dall’ubiquo sovrintendente Andrea Peria (alto esponente del ‘cerchio magico’ di Schifani), aveva invitato per un paio di concerti nelle vesti di Direttore d’orchestra. Concerti che l’erano costate un duro atto d’accusa da parte di alcuni orchestrali: non perché fosse donna o di destra, ma per la poca empatia “musicale” – a loro dire – mostrata durante le prove. Il caso è stato immediatamente spento e gli orchestrali “ribelli” sospesi.
Ciò che dovrebbe essere un’espressione di ampio respiro – la cultura – in Sicilia è divenuta appannaggio di pochi. Dei soliti. Altrimenti non si spiegherebbe la lunga permanenza di Nicola Tarantino, ex ufficiale della Guardia di Finanza, ai vertici della Fondazione Orchestra Sinfonica Sicilia per un paio d’anni, e la pretesa di Manlio Messina di tenerlo incollato alla poltrona – nonostante la gestione rovinosa segnalata dai sindacati – nel ruolo di commissario straordinario (con pieni poteri, in assenza di un Cda). Ora che non c’è più Messina, transitato dall’assessorato al Turismo al ruolo di vicecapogruppo alla Camera, Tarantino è rimasto di guardia alla Film Commission. Una commissione “controllata” dall’assessorato al Turismo, da cui partono consistenti erogazioni di denaro pubblico a supporto delle produzioni cinematografiche che abbiamo qualcosa di siciliano. E’ un modo – dicono – per rafforzare il brand e rendere l’Isola un set a cielo aperto.
E’ innegabile che molte produzioni abbiano deciso di fare tappa nella nostra bellissima terra per girare film e serie da urlo. Ma ‘The White Lotus’, regina di incassi negli Stati Uniti, non ha beneficiato di un euro di contributo regionale. La Film Commission, però, ne fa felici parecchi: nell’ultimo elenco delle istanze ammesse a finanziamento (ma la valutazione sarà successiva), compaiono i titoli di 74 produzioni cinematografiche e televisive. Alcune di sicuro impatto, come Makari (quarta stagione), altre di imperscrutabili prospettive. Tutti però vogliono avere una fetta di torta. Ci sono in palio 3,5 milioni di euro. “Anche quest’anno – disse in tempi non sospetti l’assessore Amata – l’assessorato regionale del Turismo e dello spettacolo adotta un bando per la concessione di contributi” a fondo perduto. “Vogliamo sostenere quelle opere che contribuiranno a valorizzare il territorio, la storia, la cultura e i tratti identitari della Sicilia, ma anche il massimo impatto economico e occupazionale sul territorio attraverso l’impiego di maestranze artistiche e tecniche siciliane”.
Le buone intenzioni, però, devono fare i conti con un operato poco trasparente e ancor meno incline al controllo. Vi sblocchiamo un ricordo: la mostra su donne e cinema al Festival di Cannes. Sembra passato un lustro, ma risale a un anno e mezzo fa. Un caso, peraltro, che all’indomani del ritiro del provvedimento in autotutela da parte di Schifani, non conobbe alcun responsabile. Chi autorizzò il dirigente a procedere con l’affidamento diritto di un servizio “non esclusivo” a una ditta lussemburghese per 3,7 milioni di euro, senza nemmeno una certificazione antimafia? Chi è il mandante politico? E chi il custode di una memoria senza onore? Da quando Fratelli d’Italia ha messo le mani sulla cultura siciliana – operazione architettata dal ministro Francesco Lollobrigida a livello centrale – non mancano i casi di gestione opaca. Come SeeSicily, per citare l’ultimo in termini temporali. Dove più che la cultura, si è alimentata la subcultura dello sperpero, con milioni e milioni destinati ai big player della comunicazione per promuovere non tanto la ripresa turistica, ma nuove e imperdibili occasioni di carriera.
L’esercizio della cultura in Sicilia è quello che ha privato Patrizia Monterosso della guida della Fondazione Federico II: rimossa con una Pec, forse per aver avuto il merito di incrementare gli accessi al Palazzo Reale grazie a una sfilza di esposizioni e appuntamenti che Palermo non conosceva da tempo. L’esercizio della cultura in Sicilia è mettere un imprenditore di cinema, che si occupava anche del Corecom, alla guida della Foss, nonostante la sussistenza di cause di incompatibilità mai dichiarate; un ruolo che ha portato allo sconquasso del Cda e al rischio de profundis per una istituzione lirica che vive e si alimenta dei finanziamenti regionali. L’esercizio della cultura in Sicilia è mettere a repentaglio la guida autorevole del teatro Massimo per un capriccio; o per il tentativo – indefesso – di continuare a offrire poltrone ai pagnottisti di sempre. Che non hanno mai goduto del merito di un applauso, ma si sono sempre trovati al posto giusto nel momento giusto. La cultura dell’amichettismo e delle prepotenze, ecco qual è la cultura prevalente. La censura dei fischi a Sangiuliano – erano fischi mica insulti indicibili – è solo la punta dell’iceberg.
A proposito, a Taormina l’altra sera hanno fischiato anche Schifani, ma l’episodio non fa più così rumore.