Siamo quelli del Suca urlato e compiaciuto. Aspiriamo adesso a diventare il popolo del Minchia, perché siamo ambiziosi, non ci accontentiamo e puntiamo sempre nuovi obiettivi. Leggo che il termine Minchia, di cui è composto il tre quarti delle nostre conversazioni, è diventato nientemeno che un’installazione di Manifesta. Le luminarie solitamente riservate alla celebrazione di Santa Rosalia si concedono dunque un triplo salto carpiato per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e, purtroppo, verso dove andiamo.

Il punto è che siamo così innamorati di noi stessi, e del nostro modo di essere e di apparire, da considerare cultura quella che è invece subcultura, la parola sboccata che diventa segno distintivo di un popolo, un po’ come il Suca che finisce sulle magliette e nelle tesi di laurea e nella nostra vita quotidiana fino a perdere quasi il suo significato letterario per assumere una valenza universale, disegnando addirittura i confini di una città intera.

Lo stesso percorso, par di capire, che la luminaria di Manifesta intende intraprendere per Minchia, questo intercalare che alle mie orecchie ha perduto di tempo la forza del divertissement per trasformarsi in un luogo comune stanco e moscio (oops!), un marchio stucchevole. Ma chi, i palermitani? Quelli che dicono minchia ogni tre secondi?

Non intendo con queste poche righe guadagnarmi il titolo di campione mondiale di bacchettonismo, ma avverto la sgradevole sensazione che gira e rigira il patrimonio culturale che stiamo costruendo, e tramandando, ruoti sempre attorno al cattivo gusto, alla battuta pecoreccia, al Suca o al Minchia da sventolare con pacchiana soddisfazione, delegando alla prossima vita ogni ambizione o velleità di alzare l’asticella.

È come se la nostra fantasia si fosse inceppata allo stereotipo culturale di frittola/arancina/mare di Mondello, come se non fossimo in grado di partorire novità davvero innovative, come se il nostro futuro dovesse restare perennemente ancorato al passato, come se non sapessimo uscire dal nostro orticello di cose trite, senza slancio, senza invenzioni vere, senza una triste luminaria con la parola Minchia che lampeggia nel buio. La parola Minchia che diventa arte. Ma perché vi piace così tanto questa rappresentazione goffa e caricaturale che offriamo agli altri? Davvero non abbiamo nient’altro da dire e da offrire?