“La forza del Movimento è sempre stata quella di non cedere al correntismo della vecchia politica”. Giuseppe Conte, nell’ultima intervista a ‘La Stampa’, ha palesato la sua preoccupazione numero uno. Cioè che il M5s, snaturato in tutto e per tutto rispetto a quello degli albori, di Grillo e dei Vaffa Day, possa frammentarsi in maniera irreversibile. Ma non aveva ancora fatto i conti con la ‘bomba’ che da lì a poche ore si sarebbe abbattuta sul Movimento: ossia la decisione del Tribunale di Napoli di congelare le due delibere che avevano sancito, l’estate scorsa, la modifica dello Statuto e la sua nomina a capo politico. Una situazione transitoria, forse, ma che rinfocola la tensione post-Quirinale fra Giuseppi e Luigi Di Maio. Uno spettacolo pessimo per la base. La controprova che il M5s si è definitivamente trasformato in un Pd qualunque, pieno di fazioni e di tensioni. Un partito a un passo dalla scissione.
Una cosa già accaduta in Sicilia, un paio d’anni fa, quando una costola di grillini “ribelli” – o “responsabili”, dipende dall’angolo di osservazione – decise di troncare l’esperienza dell’opposizione per prestare il fianco, sotto le sollecitazioni dell’assessore Razza, l’ispiratore della sommossa, al governo di centrodestra. Oggi, i quattro rimasti (tra cui la compagna dell’assessore, Elena Pagana) sono sul punto di aderire al gruppo parlamentare di Diventerà Bellissima, esaurendo l’antica vocazione di “duri e puri”.
A livello nazionale i Cinque Stelle si sono liquefatti passo dopo passo, lasciando per strada oltre un centinaio di parlamentari fra Camera e Senato. La questione della leadership, e il pranzo dell’estate scorsa a Marina di Bibbona fra il garante Beppe Grillo e l’ex premier Giuseppe Conte (dopo la minaccia dell’avvocato del Popolo di far saltare il banco), erano stati archiviati con un’indicazione netta nei confronti di quest’ultimo, incoronato capo politico. Nell’arco di un paio di stagioni, però, la corsa per il Quirinale ha riproposto il tema. E l’ha fatto pubblicamente, nel solco delle accuse fra lo stesso Conte e Luigi Di Maio, che si era dimesso dal medesimo ruolo a gennaio 2020. Ora il Ministro degli Esteri ha fatto il bis, lasciando l’incarico all’interno del Comitato di Garanzia, spiegando che d’ora in poi sarà “tra le voci che sono pronte a sostenere il nuovo corso, mantenendo la libertà di alzare la mano e dire cosa non va bene e cosa andrebbe migliorato”. Più che una tregua, sembra una dichiarazione di guerra. Il logorio potrebbe essere soltanto all’inizio e non basta un Grillo ormai scentrato dall’agone politico per lenire i mal di pancia.
La situazione vissuta a livello nazionale dai Cinque Stelle non può non avere effetti, a cascata, sui territori. Soprattutto ora che sono subentrate altre vicende giudiziarie. I grillini siciliani rischiano di pagarne lo scotto più di altri. Sono i primi, infatti, a dover affrontare degli appuntamenti fondamentali per il futuro del Movimento: dalle elezioni Amministrative in programma a Palermo (e a Messina?) nella prossima primavera, passando per le Regionali di fine anno. Nessuno, però, sembra avere fretta. E ci si muove a tentoni aspettando che sia il “capo”, dall’alto, a impartire direttive. Nell’Isola, però, Conte non si vede da mesi. Da quando, alla vigilia delle Amministrative dello scorso ottobre, andò in giro per comizi a raccogliere bagni di folla. Accompagnato da Cancelleri e dagli altri portavoce siculi, farcì i suoi discorsi della conoscenza superficiale dei problemi dell’Isola che si confà, per la verità, a molti leader nazionali. Con la promessa, però, di designare al più presto un referente regionale capace di dirimere le questioni elettorali (e non solo quelle). Cosa che non è mai avvenuta.
L’ultimo ad avere testimonianza della presenza tangibile di Giuseppi, nel corso delle elezioni per il presidente della Repubblica a Montecitorio, è stato Nuccio Di Paola, capogruppo del M5s all’Ars: “Abbiamo parlato dell’importanza della Sicilia nello scenario politico nazionale – ha detto Di Paola conversando con ‘ilsicilia.it’ – e di come il gruppo siciliano del M5S abbia portato dei risultati negli anni”. “Serve organizzazione – ha chiarito il deputato gelese – l’abbiamo chiesto con forza a Conte, che però è alla guida del M5S da soli sei mesi. In questo breve periodo abbiamo già completato l’organizzazione nazionale. Abbiamo chiesto celerità per le prossime scadenze elettorali sulla nomina del referente regionale e io personalmente ho chiesto che venga nominato all’interno del gruppo dei deputati all’Ars”. Toccherà a uno di loro – su tutti circola il nome di Antonio De Luca, parlamentare regionale e membro della commissione Antimafia – sobbarcarsi l’onere di traghettare i grillini verso le prossime scadenze elettorali. Mentre rimane sullo sfondo Giancarlo Cancelleri, che dopo aver minacciato l’addio ai Cinque Stelle l’estate scorsa – a seguito della prima frana con Grillo – si atteggia da “osservatore romano” super partes. Ad aver allungato le mani sul partito, invece, è stato di recente il grande rivale interno di Cancelleri: quel Dino Giarrusso che si è detto disponibile, però, a candidarsi per la presidenza della Regione. Un passo oltre la leadership.
L’assenza di un riferimento certo ha provocato qualche fuga in avanti, qualche malcelato imbarazzo e le inevitabili divergenze sul metodo da seguire, ad esempio, per l’indicazione dei futuri candidati. Sia a Palermo che alla Regione. Di Paola ha spiegato che “le primarie sono un metodo che negli anni è stato introdotto dal Pd”. Un metodo che, come avvenuto a Palermo nel 2012, ha “sempre diviso e creato tensioni. Se dobbiamo andare in coalizione inventiamoci un metodo innovativo che possa unire queste diversità e non divida”. In questo magma fluido, l’unica certezza – che fino a un paio d’anni fa poteva apparire fantapolitica – è l’alleanza strategica, e quasi organica, con le forze di sinistra. Il Pd, però, attende con ansia di poter definire un percorso comune: bisogna capire con quale interlocutore.
Su Palermo serve decidere hic et nunc, senza troppi tentennamenti: “Mancano 10 mesi al rinnovo del Governo regionale siciliano – ha scritto su social Luigi Sunseri, un altro dei possibili protagonisti nella corsa di palazzo d’Orleans -. Queste elezioni dovranno avere un protagonista assoluto: il MoVimento 5 Stelle. Ma, per essere davvero protagonisti, occorre dare una rapida accelerazione alla nostra azione politica e per “nostra” intendo del M5S e della futura, possibile, coalizione. Il Movimento 5 Stelle deve dotarsi, il prima possibile, della propria struttura. Serve il coordinatore regionale ed è necessario far partire i gruppi territoriali. Non c’è solo Roma con le sue logiche di palazzo. Per me la Sicilia è prioritaria e ogni giorno che passa è prezioso. Dobbiamo accelerare”.
A riempire le pagine dei giornali, però, resta soprattutto la divisione fra contiani e dimaiani. In Sicilia spadroneggiano i primi, audaci sostenitori di un corso nuovo. Stefano Zito, dopo i rimbrotti fra l’ex premier e il Ministro, si è schierato apertamente: “Caro Giuseppe, ho sempre detto e scritto di non circondarti di persone inaffidabili che hanno gestito il Movimento fino ad oggi perché ci sarebbe stato nuovamente un fallimento. Pian piano questi signori ci hanno trasformato nella nuova balena bianca. Adesso non resta che avere quel coraggio che ti è mancato, usciamo dal governo Draghi e cacciamo questo signore ed i suoi amichetti”. Il tema al momento non sembra all’ordine del giorno. Uscire da un governo di cui il M5s si è sempre professato sostenitore, aprirebbe a scenari imprevisti.
Ma si potrebbe ripartire dalle basi, ad esempio. Da quelle battaglie che i grillini di lotta (e un po’ anche di governo) hanno portato avanti negli anni più fulgidi: onestà, trasparenza, legalità. Un loro collega deputato dell’Ars, Antonello Cracolici, ha suggerito un tema: “Sembrano tornati gli anni in cui i faccendieri – persone che, nella maggior parte dei casi, hanno avuto vicende giudiziarie poco trasparenti – giravano negli uffici degli assessorati; sento di acquisizioni o cessioni di obbligazioni societarie a favore di discussi (e discutibili) intermediari finanziari. C’è il rischio che in attesa del big bang, ognuno cerchi di arruffare il possibile”. Sarebbe un modo per sancire un impegno forte da parte del Movimento (in altri tempi avrebbe occupato l’Ars), che non si fermi alla restituzione degli stipendi. O alle critiche, troppo facili, sulla gestione dell’emergenza Covid. Ma vada oltre gli annunci, le parole, le alleanze, i perimetri. I leader. Sarebbe un modo per fare selezione. Per cementare l’anima di un gruppo che rischia di finire come tutti gli altri; o, se va proprio male, termina la propria corsa fra le braccia del centrodestra. Una fine che neanche quel visionario di Grillo avrebbe potuto pronosticare.