Ma come può l’Udc, un partito del 3,7% alle ultime Amministrative, che esprime già il sindaco della città (guai a dimenticarsene: Lagalla ha aderito a settembre 2021), rivendicare la presenza di un assessore in giunta? Come? I lillipuziani del centro stanno bloccando la macchina amministrativa di Palermo, che ha tanti di quei problemi che non basterebbero due legislature per risolverli. Un posto in giunta, la guida di una partecipata: sono questi gli interessi ‘superiori’ della politica che non hanno consentito la nomina degli assessori, richiesta – per amor di patria – anche dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice.
L’Udc è uno di quei partitini che ha avuto anche troppo dalla vita. Non è l’unico, per carità. Ma sembra la reminiscenza imbruttita della Dc, che in nome di un vecchio blasone impolverato, ancora oggi possiede ricchi latifondi. Non solo al Comune, con Lagalla, ma anche alla Regione, dove conserva due posti in giunta a fronte di tre deputati, e voce in capitolo rispetto agli equilibri che verranno. Per le elezioni d’autunno Lorenzo Cesa, il segretario nazionale dell’Udc, ha già scelto di sostenere il bis di Musumeci (nulla di strano, viste le ricompense ottenute dal suo governo: l’ultima è la presidenza della fondazione Taormina Arte, affidata a Ester Bonafede). Cesa è lo stesso che ‘schiera’, più o meno consapevolmente, il suo vecchio mandatario elettorale nelle stanze del potere della Regione. Un traffichino in cerca del miglior affare, che in passato è stato coinvolto in un processo per finanziamento illecito ai partiti. Non sappiamo se il legame tra i due ancora esiste, ma restiamo in fiduciosa attesa che il patron dell’Udc prenda le distanze. Altrimenti la sua presenza negli anfratti della politica siciliana, risulterebbe sospetta.
L’Udc, assieme a Noi con l’Italia, di Saverio Romano, e a Totò Lentini (che sono rimasti sotto il 5% e che non hanno alcuna rappresentanza in Consiglio comunale) sperano ancora di ottenere qualcosa, magari un posticino nel sottogoverno, e gridano al ‘tradimento’ se qualcuno non dovesse darglielo. Pur essendo consapevoli che senza consiglieri non si canta messa e che un assessore, o il capo di una partecipata, con le spalle scoperte, è sempre a un passo dal precipizio.
Dal passato provengono pure Giulio Tantillo e Totò Lentini. Entrambi tenuti in vita – così dicono i giornali – da Forza Italia. Il primo, giunto alla quinta legislatura, aspira a diventare presidente del Consiglio, e stavolta ha tutti i mezzi per riuscirci, pur non avendo avuto impatto – dai banchi del centrodestra – quando si trattava di contrastare Orlando (lo dice Diego Cammarata, mica l’ultimo fessacchiotto). L’altro, Lentini, nell’ultima legislatura all’Ars ha già cambiato casacca mille volte: FI, Fratelli d’Italia, Autonomisti. Alla fine ha litigato pure con Lombardo, si era presentato solo alle elezioni, poi l’hanno convinto a un passo indietro. Ma la sua epopea non è finita. Pretende di nominare un assessore fidatissimo: la moglie. Forza Italia e Miccichè, che vorrebbero spremerne ogni voto in vista delle Regionali, tifano perché avvenga.
Con una piccola dimenticanza, però. Quel Francesco Cascio, che da candidato sindaco è stato retrocesso a probabile vicesindaco, e infine ad emerito sconosciuto. Se davvero esiste la riconoscenza, si applichi almeno a chi merita. O saremo passati in un lampo da ‘Prima Palermo’ a ‘Prima i partiti’. Pubblicità regresso.