Non c’è soltanto Nello Musumeci, con la sua voglia dichiarata (ma assai ingiustificata) di restare a palazzo d’Orleans fino al 2027. A trainare il carro del governatore, al netto del ‘cerchio magico’, c’è la confraternita catanese, che – ispirata da un istinto morboso di autoconservazione – si sta spendendo in una campagna elettorale difficile e dispendiosa. Che rischia di diventare inutile se da Roma arrivassero segnali contrari al bis. Musumeci è soltanto la punta dell’iceberg di un governo (e sottogoverno) a trazione etnea, che da un lato aspira a farlo rieleggere; e dall’altro, continua a dettare l’agenda politica, concentrando in poche mani le decisioni più importanti e spigolose. Dalle assunzioni nella sanità al potenziamento degli ospedali; dal turismo all’editoria. Una torre di controllo che estende il proprio raggio d’azione su tutta l’Isola, ma che assegna maggiore potere alle risorse ‘interne’ e genera le migliori ricadute sulla provincia di riferimento: Catania.
E’, probabilmente, un riflesso indotto da una presenza così massiccia al governo. Impossibile da non evidenziare. Ad esempio in ambito sanità. Catania è certamente la provincia più attrezzata, che di fronte all’incedere della quarta ondata, non ha manifestato segni di sofferenza nell’accogliere i pazienti Covid. A differenza di Palermo, dove gli ingressi nei Pronto soccorso sono contingentati, e i posti letto ‘dedicati’ quasi esauriti (rendendo necessaria la riconversione di altri reparti, a scapito dei malati ordinari). E’ un esempio che la dice lunga sul gap infrastrutturale fra l’area orientale e l’area occidentale della Sicilia. Un aspetto su cui, oltre all’assessore Ruggero Razza, dovrebbe vigilare soprattutto l’ingegnere catanese Tuccio D’Urso. Ossia l’ex direttore generale del dipartimento Energia che, una volta pensionato, Musumeci ha messo a capo della struttura commissariale per l’emergenza Covid, in qualità di soggetto attuatore. Si occupa dei cantieri. Ma non sempre riesce a far rispettare i tempi. I ritardi più tangibili riguardano il Policlinico di Palermo, dove i lavori per la realizzazione del Pronto soccorso e del blocco operatorio sono rimasti indietro.
Eppure, tutti i giorni, Tuccio D’Urso si esercita in prove d’umiltà, consigliando ai sindaci interventi sui rifiuti e sui depuratori, contestando le “miserie” scritte dai giornali a proposito dello stato d’avanzamento dei lavori di cui è responsabile, ironizzando su Ficarra e Picone per aver interrotto il comizio del governatore in quel di Taormina, alla serata di gala del festival del libro. Pronunciandosi a favore di un “Musumeci ora e sempre”. L’ingegnere, nello scorso febbraio, ricevette una mozione di censura da parte dell’Ars, per aver accusato di brogli alcuni deputati su una votazione che – guarda caso – lo riguardava e che, un paio d’anni prima, aveva negato la proroga dei termini del suo pensionamento. Musumeci lo riprese pubblicamente, spiegando però di non poterne fare a meno.
La messinscena terminò con uno schiaffo, l’ennesimo, nei confronti del parlamento siciliano: “Solo il contesto emergenziale – spiegò il governatore nella sua lettera a D’Urso – mi impone di non adottare momentaneamente decisioni di maggiore portata, fino alla revoca dell’incarico conferitole, comprendendo che ciò avrebbe drastiche conseguenze sulla celere prosecuzione dell’attività affidata e, quindi, sulla concreta ultimazione di decine di cantieri nelle strutture sanitarie dell’Isola”. Nella missiva, il presidente invitava l’ingegnere ad “evitare ogni esternazione che non sia strettamente connessa alla comunicazione delle attività emergenziali”. Ma la memoria dei politici è peggio del dark web: all’interno ci si perde. E così, rieccoci al punto di partenza.
Anche se basta esplorare altri ambiti per misurare il peso della confraternita catanese. Prendete la FOSS, la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana, con sede a Palermo. Persino il Partito Democratico, silente fino a ieri sull’argomento, si è accorto che “siamo di fronte ad una occupazione totale dei posti di sottogoverno” dato che “a pochi mesi dalle elezioni è stato deciso l’ennesimo cambio” del sovrintendente “con modalità di scelta quantomeno discutibili e perniciose”. Il nuovo sovrintendente è di Catania: si chiama Salvatore Francesco Di Mauro. Di Catania è anche l’assessore al Turismo, Manlio Messina, che da più di un anno, anziché impegnarsi a ricostituire il Cda della Sinfonica (decaduto dopo le dimissioni di tre consiglieri), ha tenuto incollato alla poltrona un suo fedelissimo – l’ex ufficiale della Guardia di Finanza, Nicola Tarantino – trasmettendo agli orchestrali una sensazione perenne di precarietà. Soprassedendo, inoltre, su alcuni aspetti grotteschi della gestione amministrativa dell’ente di piazza Politeama.
L’assessore Messina, di Catania, è uno dei responsabili del riavvicinamento di Musumeci con Giorgia Meloni, nonché uno sponsor accanito del bis del governatore. Ma anche il protagonista di alcune scelte un po’ al limite: come la decisione di destinare 2,2 milioni al progetto fotografico ‘Sicily, women and cinema’ allestito a Cannes, in occasione della 75° edizione del Festival del Cinema, dove l’assessore ha goduto della vista della Croisette dal meraviglioso hotel Le Majestic Barrere. Messina è anche un cultore di Urbano Cairo: con Rcs Sport ha discusso e intavolato trattative, con rilevante esborso di denaro, per far concludere nell’Isola alcune tappe del Giro d’Italia e realizzare contestualmente il Giro di Sicilia, ritenendolo il paracadute del turismo ibleo durante mesi di secca. Come D’Urso, è stato richiamato all’ordine – informalmente – dal governatore, per aver esternato in maniera troppo colorita sui social. S’è guadagnato, per questo, l’appellativo di Cavaliere del Suca.
Certamente più continente è stato l’apporto di Ruggero Razza. Dopo l’inchiesta di Trapani sui dati falsi, per cui risulta tuttora indagato, l’assessore alla Salute ha scelto il low profile, scomparendo dal dibattito politico. Ma usa il suo immenso potere – la sanità è un bottino da dieci miliardi l’anno – per lasciare comunque il segno. A partire dalla possibilità concessa alle singole Asp di poter prorogare fino al 31 dicembre i contratti in scadenza dei precari Covid. Ma anche l’ultima mossa, l’aumento delle indennità per i medici a bordo delle ambulanze del 118, sono un aiutino alla credibilità di Musumeci, che nei confronti dei sanitari non sempre ha recitato il ruolo del padre di famiglia (ricordate gli attacchi ai medici di base per non aver contribuito abbastanza alla campagna di vaccinazione?). Razza avrebbe sgomitato persino con Sacra Romana Chiesa per aprire dei varchi a Diventerà Bellissima fin dentro l’Oasi di Troina, collegio elettorale della moglie deputata.
Ma dando un’occhiata a tutti gli uomini del presidente, leggermente offuscato dal resto della compagnia, c’è anche il direttore dell’Irfis, Giacomo Gargano. Il promettente avvocato catanese, che è tuttora il coordinatore della segreteria tecnica di Musumeci, si dimena nella morsa dell’assessore all’Economia Gaetano Armao, al quale di recente ha ceduto il passo. Come? Chinando il capo di fronte alla proposta di piegare la legge sull’editoria alla teoria dei figli e dei figliastri. Armao ha chiesto e ottenuto che l’Irfis, la banca della Regione, incamerasse le istanze dei gruppi editoriali della carta stampata entro il 28 giugno, a ventiquattr’ore dalla pubblicazione dell’annuncio (con un plafond complessivo di 1,8 milioni garantito dal Fondo Sicilia). Mentre tutte le altre testate – senza alcuna distinzione fra chi fa informazione e propaganda, tra chi assume e chi licenzia – potesse attendere fino al 25 luglio, termine ultimo per la presentazione delle domande. Ma che fine ha fatto l’autonomia dell’Irfis rispetto alla politica? E la sua capacità discrezionale a fronte di una materia così spigolosa?
Anche fuori del sottogoverno, alcuni figli della destra catanese più austera, si agitano per la campagna elettorale. Uno è Ignazio La Russa, vicepresidente del Senato originario di Ragalna, che un giorno sì e l’altro pure, pur non avendo approfondito abbastanza le magagne di cinque anni di governo, raccomanda alla Meloni che l’unica soluzione plausibile per la Sicilia è Musumeci. Disintegrando in partenza qualsiasi forma di collaborazione con le altre forze politiche della coalizione, che avevano già deciso di cambiare cavallo. E poi c’è Salvo Pogliese, dello stesso schieramento di La Russa, che alle Regionali pensa eccome. E alle Politiche pure, giacché starebbe legando le dimissioni da sindaco (incarico da cui risulta ‘sospeso’ per effetto di una condanna per peculato in primo grado e della legge Severino) al proprio destino politico. Meglio l’Ars o Montecitorio? In tutto questo, Catania è una città dannata. Sommersa dai rifiuti e con lo spauracchio di una stangata sulla Tari. Con Pogliese in altre faccende affaccendato (per lo più giudiziarie) e sempre più scollegato dai problemi della città, di cui ha ceduto le redini al suo vice. Di Catania si occupano tutti, anche troppo. Ad eccezione del sindaco eletto, che invece funge da intralcio.