E’ possibile che alla fine l’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli decida di accettare il lungo corteggiamento della Lega e presentarsi allo striscione di partenza del prossimo appuntamento elettorale: le elezioni Europee di giugno. Partirebbe da un’esperienza consolidata – negli ultimi cinque anni ha fatto la spola fra Strasburgo e Bruxelles – ma soprattutto da un asse di ferro con l’altro catanese doc, Luca Sammartino, a garanzia di un ottimo risultato. Ma non è tutto così lineare: perché l’eventuale ritorno in campo di Stancanelli (che Fratelli d’Italia ha scaricato alcuni mesi fa non degnandolo di una risposta), rischia di cozzare con le ambizioni di Raffaele Lombardo, che con Salvini e il Carroccio aveva scelto di federarsi nuovamente dopo la terribile delusione incassata alla vigilia delle Politiche.
Questo folto preambolo serve a far emergere due concetti: che Catania è diventato l’ombelico della politica siciliana; ma che proprio a Catania, basti vedere l’asprezza dei rapporti fra Sammartino e Lombardo, sono in atto alcune rivalità destinate a durare nel tempo. Inossidabili. Nemici per la pelle e per la vita (pur restando nel recinto della politica). Perché ad agitare Salvini, già fiaccato nell’anima dai risultati in Sardegna (sotto il 4%) e in Abruzzo, è il contrasto fra Luca Sammartino, che alle Regionali gli ha portato in dote oltre 20 mila preferenze; e Raffaele Lombardo, che col suo Mpa sta riorganizzando una importante rete sui territori dopo i guai giudiziari che lo hanno tenuto distante dal rettangolo di gioco. Lo stesso Lombardo, fino a una settimana fa, non ha escluso la propria discesa in campo, lasciando spazio a ipotesi e suggestioni (salvo stroncarle nel suo intervento, l’altro ieri, a margine di un convegno a Catania: “Mai e poi mai”).
La sfida fra Sammartino e Lombardo si è materializzata alcune settimane fa a Palermo, quando a un appuntamento organizzato dalla Lega, alcuni rappresentanti del Mpa rimasero fuori (tra questi l’assessore all’Energia Roberto Di Mauro, che è il braccio destro di Lombardo). Su diktat di Sammartino, inoltre, è andata a spegnersi l’ipotesi di un intergruppo all’Ars fra Carroccio e Autonomisti, previsto dall’accordo di federazione stipulato con Salvini. Della serie: ognuno a casa propria. Una situazione di stallo imbarazzante, che ha portato lo stesso Lombardo a dubitare pubblicamente (con un’intervista a Live Sicilia) della valenza del patto e dell’esistenza di una prospettiva elettorale comune: “Nessuno mi ha chiamato per parlare di candidature”. Lo scenario dei “troppi galli nel pollaio” agita i pensieri del vicepremier e l’ipotesi che Lombardo possa decidere di staccare la spina a questa pseudo-federazione non è poi così peregrina. Anche se è difficile, allo stato attuale, ipotizzare una convergenza con Fratelli d’Italia: i due partiti sono ai ferri corti soprattutto a Siracusa, dove gli autonomisti stanno discutendo del loro ingresso in giunta con il sindaco Italia.
I motivi del contendere fra Sammartino e Lombardo sono antichi e trovano spunto anche nell’ultima campagna elettorale per le Amministrative di Catania, quando l’ex governatore fece saltare il banco e la candidatura di Valeria Sudano a sindaco, indicando nella senatrice leghista e nel suo compagno, Sammartino appunto, una “ditta” cui piace cambiare spesso partito. Calò il gelo. E fino a oggi, Lombardo conferma, “non ci sono rapporti”. Anche perché l’uno, Sammartino, è fiero alleato di Totò Cuffaro; e l’altro, Raffaele Lombardo, è costretto a conviverci, mal sopportando l’iperattivismo del leader della DC (per una rivalità storica assodata, che trascende dall’area geografica di provenienza).
L’altro nemico giurato di Luca Sammartino, col quale ha ritenuto di ignorarsi persino nei giorni delle celebrazioni di Sant’Agata (pur assistendo fianco a fianco al Pontificale), è Nello Musumeci. Hanno litigato ferocemente durante la precedente legislatura, quando da presidente della Regione, in aula, Musumeci auspicò che del rivale – all’epoca renziano – si occupassero “altri palazzi”. Un chiaro riferimento ai processi dell’enfant prodige che ancora oggi, nei confronti del Ministro, ostenta un chiaro ed evidente rancore (all’epoca Italia Viva parlò di “squadrismo fascista”). Nonostante giochino entrambi nella stessa coalizione.
E sempre Musumeci è la causa dei cattivi rapporti fra Stancanelli e FdI. Dopo la campagna trionfale del 2017, che portò il Pizzo Magico alla conquista di Palazzo d’Orleans, il malumore venne fuori alla vigilia delle Europee ‘19, quando la mozione-Stancanelli, che proponeva a Diventerà Bellissima di fondersi a FdI per le imminenti votazioni, fu messa in minoranza e pesantemente sbeffeggiata dagli uomini del presidente, tra cui Razza. Il movimento rimase neutrale come la Svizzera, disinteressandosi alla contesa. Sbarcato a Bruxelles, Stancanelli non ha mai nascosto la profonda insofferenza per l’azione politica di Musumeci, oltre che per la scarsa riconoscenza nei suoi confronti. E non si è certo spellato le mani quando il governatore decise di risalire sul carro di Giorgia Meloni dopo aver appurato che non si trattasse di “un partito del 2-3%”. La logica conseguenza dei rancori incrociati – ma qui l’ex sindaco è in ottima compagnia – è non aver speso una parola per un possibile bis a Palazzo d’Orleans. Ipotesi stroncata da quasi tutto il centrodestra nell’estate 2022.
Stancanelli, uomo di destra e persona perbene, ha così dovuto subire l’indifferenza del suo partito (specie quella dell’ex compagno Ignazio La Russa), nel frattempo finito in mano ad altri “colonnelli”. Cioè la nuova legione dei Balilla, nota come la corrente turistica di Fratelli d’Italia, che non ha mai mostrato grande rispetto per l’ex sindaco di Catania (il quale gliel’ha fatto notare senza mezzi termini nel corso dell’ultimo congresso etneo). E che continua a esercitare il potere con l’arroganza di chi sa di non rischiare nulla, perché gode delle giuste coperture ai piani alti. A questa frangia, cui si è unito anche il giovane presidente dell’Assemblea regionale, sembra aver ceduto anche un altro ex sindaco di Catania, il sen. Salvo Pogliese, che è tuttora coordinatore di FdI per la Sicilia orientale, anche se il prossimo giro di valzer (le Europee appunto) potrebbe rivelarsi fatale per il suo prestigio.
Questo campo “incolto” di catanesi illustri – da Sammartino a Musumeci, da Lombardo a Stancanelli, senza dimenticare Marco Falcone – avrebbe i numeri e l’esperienza per contrastare l’avanzata di patrioti arroganti e spregiudicati. Di ricondurre la bussola della politica verso la moderazione e la capacità di governo. Di far contare la provincia etnea, ma senza eccessi di prepotenza “perché i voti ce li abbiamo noi”. Ma per arrivare a ciò, servirebbe assecondare un percorso di unità e coesione che oggi si fatica a scrutare. Amici? Mai.