Ha perso la battaglia per il simbolo della DC, ma Totò Cuffaro non ha ceduto il passo allo scoramento. La reazione alla beffa dei giudici – che hanno lasciato lo scudo crociato all’Udc, il piccolo partito di Cesa – è stata la convocazione del primo congresso regionale: si terrà il 16 settembre all’Astoria Palace. Nella stessa Palermo che, alla vigilia delle Amministrative del 2022, aveva accolto il ritorno in campo dell’ex governatore con le ovazioni e i vasuna di un tempo, riempiendo il Politeama.
Il nuovo appuntamento ha i tratti della normalizzazione di un’esperienza, quella di Cuffaro, che sembrava conclusa e archiviata per sempre, specie dopo la condanna per favoreggiamento e il carcere scontato a Rebibbia. Oggi i delegati hanno cominciato a iscriversi alla piattaforma della DC, ma quello che più conta, la sostanza, è che il partito, nella sua nuova versione, ha messo radici in tutti i territori e le province siciliane. Cuffaro non ha lasciato nulla al caso e negli ultimi mesi, dopo che il Tribunale di Sorveglianza di Palermo l’ha dichiarato “abile” alla politica e alle istituzioni (per le quali promette di non ricandidarsi), ha messo in guardia persino gli alleati, “strappando” pezzi di classe dirigente – compreso qualche pezzo da novanta, vedi Pullara nell’Agrigentino – e irrobustito la sua posizione: agli occhi di Schifani e dei colleghi di governo.
L’ha fatto senza ingordigia. Stando alle dichiarazioni ufficiali, Cuffaro non avrebbe alcuna intenzione di sgambettare la concorrenza interna o creare zizzania. L’ex governatore ha voluto rassicurare Fratelli d’Italia che alcuni rumors giornalistici davano in subbuglio dopo la recente espansione: “La DC è un partito che lavora e cresce e lo fa nell’interesse della coalizione tutta e non certo contro qualcuno della maggioranza – ha detto Cuffaro -. Stiamo aggregando attorno ad un’idea moderata offrendo una casa ed una motivazione a quanti tra i moderati sino ad oggi hanno scelto di astenersi dalla politica e dal voto”. E ancora: “La DC vuole continuare ad essere utile e leale alla coalizione di centro-destra come lo è stata sino ad adesso in tutte le tornate elettorali”.
La Democrazia Cristiana, che nel frattempo ha gettato l’amo in molte regioni italiane (fra cui la Sardegna), è stata un punto d’equilibrio anche a Catania: la virata di Cuffaro verso la candidatura di Trantino ha convinto la Lega a ritirare il nome di Valeria Sudano, la compagna di Luca Sammartino, cui l’ex governatore aveva promesso sostegno quasi incondizionato. Cuffaro ha avuto un ruolo d’equilibratore anche alla Regione, puntando le proprie fiches su Schifani e su una coalizione martoriata da cinque anni di governo Musumeci e da feroci spaccature interne. La DC, dopo i risultati delle Amministrative di Palermo (dove ha eletto tre consiglieri e nominato un assessore), ha strappato un paio di assessori alla Regione – Nuccia Albano al Lavoro e Andrea Messina agli Enti locali – e ha sfruttato i mesi a venire per strutturarsi nei comuni, con esiti spesso scoppiettanti.
In provincia di Agrigento, dopo l’innesto di Pullara, sono sorte piccole incomprensioni col suo ex partito – la Lega – che rendono difficile qualsiasi collaborazione in chiave Europee. Il primo fra i motivi ostativi è la presenza di Francesca Donato, che nel 2019 era stata eletta a Bruxelles nelle file del Carroccio e non ha esitato un attimo a virare sulla Dc dopo la rottura con Salvini. La segretaria regionale della Lega, Annalisa Tardino, ha detto più volte che fra i due partiti non ci sarà alcuna collaborazione: “È sicura che la sua posizione sia condivisa dalla base?”, ribattono dalla Dc. “Nulla contro la Tardino”, ma “la sua autorevolezza ci disorienta, soprattutto quando dice ‘non mi pare che le nostre battaglie identitarie siano condivise, e viceversa’. Pazienza, ce ne faremo una ragione”. E in effetti i nuovi democristiani se ne sono già fatti una ragione: a meno di clamorosi scossoni, alle prossime elezioni di primavera dovrebbero trovare spazio nelle liste di Forza Italia, dato che è sempre più difficile ipotizzare un’alleanza col Terzo (o quarto) Polo.
Nonostante gli ottimi rapporti con Davide Faraone, infatti, non ci sarà alcun asse con Italia Viva. I renziani sostengono che Cuffaro sia troppo appiattito su posizioni di destra, anche se l’ultimo voltafaccia di Cateno De Luca – che sembrava già d’accordo con l’ex premier per un matrimonio d’interessi – potrebbe aprire qualche maglia. Ma in questa fase restano i canali privilegiati con Forza Italia e Schifani, specie sulla questione estiva più rovente: la mobilità. La Dc ha provato a disinnescare il tentativo di FdI di commissariare la Sac dopo lo scandalo dell’aeroporto di Catania, indicando un’unica strada: remiamo insieme. Mentre nei confronti dei patrioti, che non perdono occasione per ricordare al mondo chi è più forte, Cuffaro ha già ringhiato altre volte: “Fratelli d’Italia plaude, compatta, alla riapertura del terminal di Catania e ringrazia soltanto i vertici da loro guidati. E a loro si rivolgono per risolvere il vergognoso problema del caro biglietti da parte delle compagnie aeree che da anni vessano i siciliani. Bene, ci chiediamo come mai se ne stiano occupano soltanto oggi”. Anche sul Rdc la posizione dei democristiani è meno ermetica dei meloniani: “L’aver tolto il reddito di cittadinanza, piuttosto che fare opportune modifiche, è una bomba sociale pronta ad esplodere”.
D’altronde la Dc cerca voti al centro, e non ha alcuna intenzione di interpretare il sentimento sovranista in chiave populista. Cerca, piuttosto, di erodere consenso sui territori. Com’è avvenuto ad Agrigento, una provincia che in Assemblea esprime anche il capogruppo Dc Pace; e nel Ragusano, dove l’accordo di programma con l’ex sindaco di Modica Ignazio Abbate, ha aperto una prateria nella conquista di un consenso disgregato in mille pezzi, dopo il calo della Lega e il crollo di Forza Italia. Non va dimenticata Palermo, dove il partito di Cuffaro ha appena “scippato” un consigliere comunale alla Lega (Salvo Di Maggio), e continua ad aggregare. O nei comuni minori: a Realmonte, ad esempio, sono stati cooptati il sindaco e un paio di consiglieri, a Palma di Montechiaro due consiglieri, e così via. Questa indole del politico capace di miscelare testa e sentimento, che ha fatto la fortuna di Cuffaro in altre epoche, alimenta il suo fascino anche in questa fase politica, nonostante il fardello giustizialista dei peccati commessi (che per alcuni sarebbero serviti, e bastati, per escluderlo dalla contesa pubblica una volta per tutte).
Neppure l’inciampo sul simbolo, e una costante faida sull’utilizzo (improprio) del nome della Democrazia Cristiana (ricordate la polemica con Rotondi?) ha distolto l’attenzione dalle cose più alte. Dalla creazione di “una classe dirigente giovane e donna” che la Dc sostiene di voler conseguire da qui in avanti. E pazienza se sulla scheda elettorale non potrà più campeggiare lo scudo o la scritta Libertas: “Avevamo chiesto al tribunale di Roma che lo scudo crociato potesse riunirsi alla Democrazia Cristiana – ha spiegato Cuffaro -. Il giudice, invece, ha sentenziato che debbano rimanere separati. Non presenteremo ricorso e continuiamo a sostenere l’importanza storica ed ideale di riunire lo scudo crociato con la DC e che questo abbia senso solo se tutte le diverse anime di ispirazione democristiana troveranno le ragioni per farlo e per tornare insieme, ma è una decisione politica”. Come quella di ricreare un grande centro, già avanzata da Renzi (e derisa da altri). Cuffaro aspetta il suo momento: mai disperare.