La tregua sta per finire. I ballottaggi di domenica prossima in alcune città italiane (fra cui Verona, Parma e Catanzaro) segnano la deadline anche per il centrodestra siciliano, che fino ad allora ha promesso – si è promesso, in verità – di non alimentare scontri. Gianfranco Micciché e Nello Musumeci, ieri, hanno accolto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Taormina, dove il capo dello Stato era ospite della manifestazione Taobuk. Si sono dovuti ritrovare per forza, in veste istituzionale, dopo essersi volutamente ignorati cinque giorni prima al comitato elettorale di Lagalla, quando il clima di festa per il successo di Palermo è stato in parte rovinato dalle pistole fumanti.
Ma non ci sono soltanto due centrodestra “contro”. Della partita fa anche un terzo incomodo, che non perde occasione per sottolineare le debolezze degli altri due. Si tratta dell’ex sindaco di Messina, Cateno De Luca, che viene fuori ringalluzzito da una settimana trionfale, in cui il “suo” Federico Basile, dopo aver sbaragliato la concorrenza alle Amministrative, si è insediato a palazzo Zanca. Al suo posto. De Luca si era dimesso a febbraio per correre alla Regionali; l’aveva fatto in tempo utile per consentire alla città di rientrare nella prima finestra utile per andare al voto, e c’è riuscito. Vincendo, fra l’altro. Non era facile per Basile imporsi al primo turno (col 45,5%) di fronte a due schieramenti più o meno solidi: l’uno, ispirato da Musumeci, faceva quadrato attorno alla figura di Maurizio Croce (che ha però ricevuto la maggior parte dei voti dal ras Francantonio Genovese); l’altro, invece, allineato sui pianeti Pd e Cinque Stelle, era costruito attorno al dem Franco De Domenico. Scateno li ha sconfitti entrambi, dando prova della sua abilità elettorale. E della sua enorme crescita a fronte di un personaggio (spesso) fuori dalle righe e dai costumi della politica.
De Luca sarà un fattore anche alle prossime Regionali. La sua candidatura nasce contro Musumeci, definito il capo della “banda bassotti”; ma pian piano sta evolvendo verso obiettivi più alti. “Il tema non è Musumeci sì, Musumeci no – ha detto Scateno durante l’ultimo live su Facebook -. Il tema è che bisogna costruire le condizioni per amministrare questa terra, con una squadra di assessori che non è frutto di compromessi politici, ma che siano scelti in base all’amore per questa terra e alla competenza. Il nostro obiettivo non è vincere ma amministrare”. Effettivamente De Luca ha un debole per l’amministrazione. Ci si è dedicato anima e corpo da sindaco, ma anche de componente della commissione Bilancio all’Ars. Ha scritto un libro sugli sprechi della Regione, ha fatto le pulci ad Armao, ha costruito sui temi (specie quelli contabili) la solidità dei propri argomenti da sindaco. Ha fatto anche il giullare, quando è stato il caso: agitando lo spettro del drone con la sua voce per obbligare i messinesi a starsene a casa durante il lockdown; inseguendo una Renault sgangherata che aveva superato lo Stretto senza autorizzazione; proferendo parole al veleno contro la Ministra Lamorgese (che gli sono costate 1.500 euro per vilipendio).
Un piano studiato e ripassato a puntino. Ma funzionale ai suoi obiettivi che, man mano, prendono corpo. Adesso De Luca vuole fare il sindaco di Sicilia. La sua candidatura non dovrà essere obliterata dalle primarie, né dai caminetti di una coalizione qualunque. ‘Chi mi ama, mi segue’, è il motto. E tanti, pur non amandolo, sono costretti a (in)seguirlo. Musumeci ha persino rinunciato a chiamarlo per nome: “Mi occupo di cose serie”, è la risposta a chi nei mesi scorsi gli chiedeva dell’ex sindaco. Ma De Luca è una cosa seria, serissima. Specie se Nello dovesse rimanere in campo: a quel punto è sicura la presenza di Scateno, il quale è certo di riuscire a drenargli una certa quantità di voti fino a farlo perdere. De Luca è più che certo che, con tre candidati, nella prossima Assemblea non ci sarebbe una maggioranza chiara e, a quel punto, “dovranno trattare con noi”. Ma le evoluzioni di queste ore lasciano immaginare un finale diverso. In cui il sindaco di Sicilia, una volta appurata la propria forza, decida di condividerla secondo i suoi schemi (anche se per il momento si limita ad esternare che “la banda bassotti politica mi corteggia ma io non mangerò la mela del peccato”).
Matteo Salvini, ad esempio, non ha mai nascosto la propria stima per la persona e per il personaggio. Gliene ha dato dimostrazione un mese fa, quando al termine di un paio di incontri riservati a Roma, ha fatto in modo che Prima l’Italia, la Lega dell’ultim’ora, convergesse su Basile per il voto nello Stretto (un’eccezione che gli ha permesso di vincere non una, ma due volte considerando Palermo). L’ex Ministro non è contento di Musumeci, non è disposto a riconfermarlo, cedendo alla Meloni (fra l’altro!) la primogenitura della scelta. Così è alla ricerca di un piano-B che non passa, non solo, dall’individuare un nome alternativo (Stancanelli?) per tenere unito il centrodestra.
Nel caso in cui Giorgia & Nello decidessero di andare avanti per la loro strada, e di rifiutare la mediazione, De Luca sarebbe la exit strategy naturale. Anche se Scateno, nella sua testa, non accetterà mai il ruolo di outsider. Lui vorrebbe esserci da protagonista. Gli altri se ne sono accorti. Lo temono e, insieme, lo osannano. Gianfranco Micciché lo vedrà oggi dopo qualche mese di gelo e quel preavviso di sfratto dall’Ars recapitato dall’allora sindaco di Messina durante una manifestazione di Sicilia Vera a Taormina, nello scorso ottobre (un appuntamento che provocò l’orticaria al leader di Forza Italia dopo una che una signora, dalla platea, gli chiese conto e ragione del suo stipendio). Micciché conosce bene il valore intrinseco di De Luca e ritiene fondamentale dialogare con lui.
Scateno, che nell’ultima fase ha provato a scucirsi di dosso l’etichetta di politico del centrodestra (“Io non ho mai partecipato alle loro sedute spiritiche”), in realtà ha sempre avuto ottimi rapporti anche con un altro elemento di spicco della coalizione. Il suo pigmalione è sempre stato Raffaele Stancanelli, di fronte al quale – forse – sarebbe disposto a un passettino indietro. Magari per farci un ticket insieme. Che poi corrisponde al sogno (nemmeno così segreto) di almeno metà della coalizione: Stancanelli presidente, De Luca suo vice. Una prospettiva incoraggiante anche per la Meloni, che non avrebbe argomenti per rinunciare all’investitura di un suo fedelissimo. E per tutto l’arco dei No-Nello, che ancora faticano a spiegarsi questa impuntatura per il presidente uscente che nessuno riconosce più. Manco a Taormina. “Ma cosa sta succedendo in Sicilia – scrive De Luca su Facebook – Mi è arrivato questo messaggio: ‘Buonasera Cateno sono al Taobuk a Taormina alla serata di gala. C’è Nello che sta premiando, è un susseguirsi di fischi e interruzioni. È impressionante’. I siciliani – aggiunge De Luca – si sono finalmente stancati del capo della banda bassotti politica. Musumeci a casa senza se e senza ma”.
Il piano era chiaro. Ma ora le diramazioni per arrivare all’obiettivo sono molteplici. Comprendono percorsi variegati. Uno porta a Dino Giarrusso, che si è appena liberato dell’etichetta di ‘grillino’, col quale De Luca vorrebbe costruire un movimento meridionalista in grado di sbarcare a Roma; un altro a Vittorio Sgarbi, che ha offerto a De Luca il sostegno del proprio movimento (‘Rinascimento’) alle Comunali. E poi ci sono quelli più tradizionali: da Salvini a Micciché a Stancanelli. Tradizionali, ma non meno intriganti…