Per uno strano scherzo del destino, in Sicilia “sarà” la casta a eleggere se stessa. Ci volevano la Legge Delrio (tuttora vigente) e le sentenze della Corte Costituzionale – che ha bocciato un paio di volte le proroghe dei commissari – per riportare al voto le ex province. Ma soprattutto per fare in modo che i politici siciliani si assumano la responsabilità e l’onere di votarsi a vicenda per spartirsi 300 poltrone. Questa volta senza la “complicità” dei cittadini, che sono stati privati non tanto della partecipazione collettiva al rito elettorale, bensì della possibilità di astenersi (alle ultime Regionali, coincidenti con le Politiche, ha votato solo il 48,81%, immaginate adesso…). Il rito pertanto è monco. Quasi una rappresentazione funerea della democrazia partecipata. Ma comunque una buona occasione per rimettersi a tramare e fare in modo che sindaci e consiglieri comunali dei 391 comuni siciliani eleggano i loro rappresentanti negli enti d’area vasta.
Il Libero Consorzio di Ragusa, recentemente, è finito in un polverone a causa dell’indizione di un concorso da direttore amministrativo in cui l’unico concorrente ammesso era il Direttore generale dell’ente, il cui mandato è legato al mandato della commissaria: cioè la dirigente regionale Patrizia Valenti, rimasta fuori dall’ultimo valzer dei burocrati. Ciò testimonia che la “casta” trova il modo di insinuarsi anche nei gangli dell’amministrazione, pur in assenza di legittimità popolare. Il concorso è stato prima sospeso e poi revocato a seguito della mozione con cui l’Ars ha impegnato il governo a mettere in ghiaccio tutte le procedure in attesa delle elezioni.
Ma questo è solo l’esempio di ciò che potrebbe succedere dopo la data del 27 aprile. Cioè la giornata elettorale che servirà ad eleggere sei presidenti di provincia e nove consigli provinciali. Nelle tre città metropolitane, infatti, la funzione di presidente verrà svolta dai tre sindaci: Roberto Lagalla a Palermo, Enrico Trantino a Catania e Federico Basile a Messina. Le grandi manovre, però, sono cominciate. Sia la Lega che la Democrazia Cristiana, a livello territoriale, hanno convocato sindaci e consiglieri “vicini” per studiare le strategie che condurranno al voto. Dovranno cercare di “acchiappare” anche i rappresentanti civici eletti in molti Consigli comunali, magari promettendo un piatto di lenticchie per sancirne l’apparentamento a questo o a quel partito.
Il centrodestra ha già deciso qualche giorno fa di presentare liste separate anziché il listone unico, e di condividere soltanto il candidato alla presidenza (c’è già lo schemino: Enna al Mpa, Caltanissetta a Noi Moderati, Siracusa a Fratelli d’Italia, Agrigento alla DC, in dubbio Ragusa e Trapani); nel centrosinistra – rimasto orfano di Cateno De Luca e Sud chiama Nord – la discussione non è nemmeno cominciata e viene difficile ipotizzare che Pd e Cinque Stelle, con le reciproche diffidenze che si sono sedimentate negli anni (il M5s arrivò a ritirare il sostegno alla Chinnici dopo aver celebrato le primarie, nel 2022), possano condividere profili e percorsi unitari.
Ma tant’è. Questo è il gioco a cui bisogna giocare, cercando di non sconfinare nel ridicolo. Le operazioni di voto si svolgeranno in una sola giornata, quella di domenica 27 settembre, dalle 8 alle 22. Sindaci chiamati a eleggere altri sindaci per cercare di replicare un modello ‘militare’ sulla scorta di maggioranza e opposizione all’Ars. Per ridare manforte, almeno sotto il profilo politico, a un ente intermedio cancellato da Crocetta nel 2013, che non ha più saputo influenzare i processi nelle aree di propria competenza: edilizia scolastica e strade secondarie (soprattutto). Limitandosi solo all’ordinaria amministrazione. La Regione di tanto in tanto ci ha messo i soldi per pagare il personale e evitare il fallimento degli enti, ma con il rinnovo delle cariche elettive tutto potrà cambiare (questa è la tesi della “casta”).
I cittadini rimarranno a osservare in disparte. All’Ars giace infatti una proposta per reintrodurre il voto diretto, ma Fratelli d’Italia, a Roma, ha ostacolato una serie di emendamenti legislativi (dei partiti della stessa maggioranza di governo) che consentissero alla Sicilia di andare in deroga alla Legge Delrio, per poi sbattere sullo scoglio della Consulta. Neanche le rassicurazioni del ministro Calderoli, in passato, hanno sbloccato l’impasse. Gli ultimi fatti hanno ribadito che la Sicilia, pur dotata di margini decisionali autonomi garantiti dallo Statuto, è come le altre regioni e non fa eccezione. E pazienza se il voto demandato a così pochi rappresentanti non si presta al giochino della campagna elettorale, delle promesse irrealizzabili e dei pacchetti di voti.
La casta è talmente distante dai problemi reali del Paese, dell’Isola in questo caso, che finirà per celebrarsi le elezioni da sola. Il potere ai potenti, mentre i cittadini si godono la vista (o se ne andranno al mare come sempre). E’ un passaggio cruciale nel percorso di rassegnazione civile ormai in atto.