L’ultima invenzione impiegata alla salvaguardia della buona serenità dei genitori si chiama AirTag, un gps a uso domestico: lo hanno regalato anche a me. Si applica alle chiavi, al portafogli, agli oggetti scordati nel fondo delle borse, nelle tasche delle giacche, tumulati nei sottoscala della nostra memoria. Con AirTag li ritrovi subito. Ora i genitori li applicano ai figli più piccoli e mi pare una buonissima idea: leggete qui nell’articolo di Silvia Renda quanti minori scompaiono all’anno in Italia. Ma potremmo pensare a un utilizzo ulteriore, sancito con forza di legge: un AirTag obbligatorio per i politici. Per i ministri, i parlamentari, i presidenti di regione, i sindaci perlomeno. Ogni autonomia locale delibererà a proposito di consiglieri regionali e comunali, e poi toccherà valutare a proposito di ogni carica pubblica, di ogni personalità di rilievo della vita democratica, banchieri, grandi imprenditori, rappresentanti di categoria, giornalisti. Come si dice? Male non fare, paura non avere, così se il tal deputato va qui o va là, e se non ha nulla da nascondere né là né qui, nulla avrà da eccepire.

Comincio a nutrire il vago sospetto dell’indecifrabilità dell’ironia. Dunque preciso: sì, sono ironico. Perché dell’inchiesta sul dossieraggio, aperta dalla procura di Perugia su denuncia a Roma del ministro Guido Crosetto, si intuisce una gravità tuttavia non ancora dettagliata (applausi alla discrezione del procuratore Raffaele Cantone, altri avrebbero già fornito tonnellate di carte per le nostre grandi inchieste da copisti), ma a me colpisce il sistema di controllo messo in piedi sulle transazioni bancarie. Non ne conoscevo la portata. Nel 2022 ci sono state più di 155 mila segnalazioni di operazioni sospette (Sos), solo cinque anni fa erano meno di centomila. La struttura coinvolge Banca d’Italia e la Direzione nazionale antimafia: ogni spostamento ambiguo viene monitorato ed eventualmente trasmesso in procura.

Funziona così più o meno in tutta Europa, magari con meno solerzia e minore passione per lo sputtanamento, ma, a proposito di sospetti, il mio è che abbia conseguito un brillante successo l’esportazione della nostra mania per la casa di vetro. Tutto si deve sapere, e chi non è d’accordo ha qualcosa da nascondere. E quindi ha elementi contraddittori la preoccupazione del governo davanti all’ipotesi che la polizia giudiziaria e forse la magistratura abbiano girato alla stampa notizie senza rilievo penale ma adeguate al diffuso giornalismo fondato sul “guarda caso”, allusivo e spensierato, in cui non è importante fornire una notizia ma girare attorno a una suggestione melliflua.

Contraddittorio perché a gennaio questo stesso governo, con rara discrezione, ha approvato una legge che consente ai servizi segreti di intercettare chiunque (rileggete la parola chiunque), su un semplice sospetto (questa è una parola che cominciamo a rileggere un po’ troppo spesso), per ragioni di sicurezza interna davanti a minacce mafiose e terroristiche, pure con il trojan, la cimice digitale che permette di ascoltare e vedere il sospettato ventiquattro ore su ventiquattro. L’autorizzazione e il controllo delle intercettazioni – lo ha spiegato bene Cataldo Intrieri su Linkiesta – passa “da un’unica figura centrale, il procuratore generale presso la Corte di appello di Roma, dunque un rappresentante unico di tutte le procure italiane, collocato nel centro della politica italiana, a un battito di cuore dal presidente del Consiglio, il cui sottosegretario, sempre per pura coincidenza, è un magistrato con delega ai servizi segreti”. Che ne dite? Potenzialmente, un micidiale strumento di controllo e di ricatto, di cui Giorgia Meloni non farà mai uso, per carità. Ma se lo facesse? Lei o un suo successore? Continua su Huffington Post