Col taglio dei parlamentari, e la mancata riforma della legge elettorale, i collegi blindati sono merce rara. Ma soprattutto diventano appannaggio dei soliti noti. Che sgomitano per riciclarsi, e guai se non accade. Sono ore di trepidante attesa per scoprire dove finiranno deputati e senatori uscenti: se in posizione favorevole per staccare un altro pass in parlamento, oppure a casa, come accaduto a Steni Di Piazza e Adriano Varrica, che tollerano a fatica l’esclusione dalle liste del M5s (frutto di un combinato disposto: da un lato le parlamentarie online, dall’altro la necessità di garantire l’alternanza uomo-donna). Si tratta di meccanismi difficili e, spesso, lontani dall’opinione pubblica e dall’esigenza del Paese: ma segnano la sopravvivenza dei politici e del loro impegno nelle istituzioni.
Secondo la legge non scritta perorata da Nello Musumeci negli ultimi mesi – cioè che la ricandidatura di un uscente è un diritto inalienabile – molti dei parlamentari nazionali siciliani, dei quali (spesso) si perdono le tracce nell’arco della legislatura, pretendono un posto al sole. Difficilmente potranno schiodare Alessandro Pagano, vicecapogruppo della Lega alla Camera, dalle poltrone di Montecitorio. Il suo nome non è tra quelli inseriti nei collegi uninominali (appannaggio di Nino Minardo, già tre legislature, e Valeria Sudano, la compagna di Luca Sammartino), ma sarà comunque “garantito” al proporzionale: dove, va da sé, non è necessario essere indicato dall’elettore, ma essere in cima alle preferenze delle segreterie. Per Pagano sarebbe la quarta legislatura a Roma dopo aver rivestito l’incarico di assessore alla Salute e al Bilancio alla Regione siciliana.
Per lui, come per Stefania Prestigiacomo, sussiste l’obbligo morale di trovare spazio nel nuovo parlamento (alla Camera ci saranno 230 deputati in meno, al Senato 115). Entrambi, infatti, si erano messi a disposizione dei rispettivi partiti per correre come candidati a palazzo d’Orleans (ruolo per il quale è stato preferito Schifani). L’ex ministra dell’Ambiente sarà in corsa probabilmente al Senato, nella Sicilia sud-orientale (lei è di Siracusa). Si tratterebbe addirittura dell’ottava legislatura: la prima nel ’94, anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi. Il centrodestra considera blindati i 18 collegi uninominali: di questi cinque toccano a Forza Italia. Più i seggi del proporzionale, dove la garanzia di successo – a fronte di un buon risultato del partito – va al capolista. Lo saranno altri uscenti azzurri: da Matilde Siracusano a Gabriella Giammanco passando per Urania Papatheu. Mentre non ci sarà alcuna riconferma per Giusy Bartolozzi, che, dopo aver aderito al Misto nel bel mezzo della legislatura, è transitata in Azione assieme al compagno Gaetano Armao. Chi prova a rientrare a palazzo Madama, dopo aver perso un giro all’Ars, è l’agrigentino Gallo Afflitto, molto vicino a Marcello Dell’Utri, anche se non sarà automatico trovargli posto.
Fratelli d’Italia, invece, dovrà garantire continuità a Carolina Varchi, attuale vicesindaco di Palermo, Tiziana Drago, senatrice ex 5 Stelle, e Carmela Bucalo: ossia tre uscenti. Non perché abbiano lavorato bene – magari l’avranno anche fatto – ma per un obbligo morale. Altre ipotesi non sono contemplate. I patrioti, rispetto ad altri, godono del favore dei pronostici (una quindicina di caselle garantite) e quindi potranno sbizzarrirsi: un posticino andrà di diritto anche a Nello Musumeci, al quale è stata negata la ricandidatura a palazzo d’Orleans. Nel Pd, invece, sono già volati gli stracci. A pagare per tutti è stato Fausto Raciti, ex segretario regionale dem, scalzato da Enrico Letta. Mentre rischia di rimanere a spasso anche Carmelo Miceli, palermitano, solo terzo alla Camera nella circoscrizione Sicilia 1. In questo caso il diritto d’anzianità vale meno: Miceli ha fatto una sola legislatura. Ne ha fatte zero Antonello Cracolici, che si era già congedato da palazzo dei Normanni per il grande salto: ma è stata scalzato dalla prima posizione (l’unica utile?) dal Pd medesimo con una paracadutata eccellente: la ligure Annamaria Furlan, ex segretaria nazionale della Cisl.
Fra gli ‘uscenti’ che avevano tentato di guadagnarsi il bis passando dalla strettoia delle parlamentarie online c’erano Steni Di Piazza e Adriano Varrica, entrambi alla prima legislatura (il M5s non ne concede più di due). Entrambi palermitani. Di Piazza, ex sottosegretario al Lavoro, ha ricevuto pochi voti dagli iscritti: “Sono un uomo della società civile, non impegnato attivamente nella militanza. Ero poco conosciuto”, si è giustificato a Repubblica. Ma poi, non accettando il verdetto delle urne (online) ha chiesto di cambiare sistema: “Pur essendo arrivato secondo alle primarie, sono andato a finire fuori in quanto maschietto. Nell’alternanza uomo-donna c’è qualcosa che non quadra. L’ordine deve essere quello stabilito da chi fa la lista”. Mentre Varrica, pur avendo ottenuto un discreto bottino di consensi, è finito comunque ai margini. Supplente. “Ma mi renderò utile”.
I Cinque Stelle restano uno dei pochi esempi in cui il “diritto inalienabile” di essere confermati perché uscenti, viene messo in discussione. Forse sarebbe opportuno – per la democrazia – che anche gli altri partiti legassero le proprie scelte non tanto al voto degli iscritti, ma a una valutazione reale del lavoro svolto in parlamento e delle risposte date ai territori (spesso lacunose). E non solo alla militanza. Altrimenti si corre il rischio di interdire l’ingresso nelle istituzioni alle energie nuove che in Sicilia, più che altrove, faticano ad emergere. E creare una sottocasta della casta: i deputati a vita. Come se i senatori non bastassero già.