La Bongiorno no. E allora chi?

GIULIA BONGIORNO, POLITICO

Giulia Bongiorno ha declinato l’invito con cortesia: “Il mio futuro è romano perché mi piace quel che sto facendo da parlamentare”. Matteo Salvini dovrà continuare a cercare se – come dice – intende proporre un candidato leghista alla presidenza della Regione. La corsa al dopo Musumeci è scattata all’indomani della sua visita palermitana, in cui il segretario del Carroccio ha ricomposto i cocci di una rottura annunciata e accolto in squadra Luca Sammartino, un pezzo da novanta, strappato al corteggiamento di Forza Italia. Ed è stato l’aumento del peso parlamentare – da un deputato, il desaparecido Tony Rizzotto, ai sette attuali – a convincere il capitano della bontà dell’operazione. “Abbiamo l’ambizione, non la pretesa, che sia la Lega insieme agli alleati del centrodestra, a indicare il prossimo presidente della Regione: per me è un obiettivo a portata di mano”, ha ribadito Salvini da Messina, dove ieri ha omaggiato della sua presenza il Corpo dei Vigili del Fuoco.

Musumeci, nella testa dell’ex Ministro, dovrà arrendersi all’evidenza e le ultime dichiarazioni rilasciate dal governatore pro-tempore (“Ogni partito ha le sue ambizioni, ma spero non si vorrà lavorare per dividere la coalizione. Per dividere il tempo della semina da quello del raccolto servono motivazioni ben più forti delle legittime ambizioni di una forza politica”), sono il segno tangibile di una frattura che difficilmente verrà ricomposta. Ed è già detonata sull’obbligatorietà del Green pass negli uffici pubblici, ritenuto dalla Lega una sorta di abominio giuridico. Musumeci senza la Lega non esiste. E la coalizione nemmeno, dato che il Carroccio, con l’ultima, superba campagna acquisti, ha dimostrato di avere le carte in regola per strappare a Forza Italia e Fratelli d’Italia (che tutti nei sondaggi indicano come il partito più in crescita) le redini del centrodestra.

Allora la domanda è lecita: se non sarà Giulia Bongiorno – da molti indicata come credibile outsider – la candidata in pectore per il dopo-Nello, a chi toccherà? Salvini, in verità, si è lasciato andare ad alcune confidenze (riportate da Buttanissima e mai smentite da nessuno) che vorrebbero Nino Minardo, l’attuale segretario regionale, come il primo della lista. Minardo, segretario moderato e pontiere della prima ora (con Micciché), è quello che prima dell’avvento di Sammartino e dell’ultima infornata di arrivi, aveva sedimentato la base leghista nei territori, accogliendo in squadra gente navigata, giovani ambiziosi e politici di centro. Sulla falsariga della sua esperienza parlamentare, che lo aveva visto militare in Forza Italia e nel Nuovo Centrodestra di Alfano. Un progetto “inclusivo” che ha convinto Salvini e dato i suoi frutti: gli amministratori locali della Lega sono cresciuti in un baleno. Minardo, per il suo politically correct, per la capacità di non andare fuori dalle righe e di tessere rapporti cordiali con tutti gli alleati, renderebbe la pillola meno amara. E’ difficile per l’opinione pubblica e gli elettori di centrodestra immaginare un governatore leghista in Sicilia. Con Minardo, forse, lo sarebbe un po’ meno.

Ma è inevitabile che l’arrivo di Sammartino comporti qualche riflessione ulteriore. L’ex renziano ha già dichiarato di volersi impegnare a Palermo, e non al parlamento nazionale. Dalla sua ha i numeri: alle ultime Regionali sfiorò le 33 mila preferenze. Non tutti sono farina del suo sacco: in qualche modo contribuì anche il Partito Democratico, con cui venne eletto. Sammartino, però, resta una calamita del consenso. Oltre che il più acerrimo rivale di Musumeci, con cui arrivò allo scontro nel corso di una seduta all’Ars, in cui il presidente della Regione chiese per il suo rivale l’interessamento di “ben altri palazzi”. Quelli giudiziari: sulla testa del deputato etneo pendono due processi per corruzione elettorale, che certamente non sono un buon viatico per palazzo d’Orleans. Ma nell’ottica di una cesura rispetto all’azione del governo Musumeci (che molti, nella Lega, non fanno mistero di non apprezzare), il suo nome sarebbe certamente il più spendibile. Sammartino ha già mostrato gli artigli sul Green pass: “Basta approssimazione! Abbiamo già chiesto che venga rivista l’ordinanza del presidente Musumeci… Si garantiscano i pubblici servizi a tutti e si prestino le idonee tutele a favore delle attività economiche. Inaccettabile perdere ancora tempo”.

Ma non sarà solo una partita fra uomini. L’indicazione della Bongiorno, avvocatessa e politica in carriera, avrebbe rappresentato una svolta. Ma nell’universo Lega, in Sicilia, non mancano le alternative. A partire dalle europarlamentari Annalisa Tardino e Francesca Donato. La prima, di Licata, si è affacciata da pochi anni all’attività politica, e ad Agrigento sta contribuendo alla crescita del partito in tandem con Vincenzo Giambrone. A Bruxelles si batte in commissione Libe (Giustizia e Affari interni). Francesca Donato, invece, è il volto più televisivo del Carroccio. Una che non si tira indietro, pronta a battagliare quando è il caso. Sostenitrice delle cure domiciliari per i malati Covid, ha avuto parecchio da ridire sulle ultime ordinanze del presidente della Regione, che hanno imposto il censimento dei dipendenti pubblici non vaccinati e, alla vigilia di Ferragosto, l’obbligatorietà del Green pass negli uffici (“L’ordinanza di Musumeci è così zeppa di violazioni – ha detto – che non è nemmeno classificabile come un atto normativo”). Tardino e Donato sono come la notte e il giorno, ma entrambe meritevoli di attenzioni. Due outsider molto quotate.

Fin qui lo scenario noto. Quello meno noto si definirà al tavolo della coalizione, che Musumeci l’altro giorno – dopo aver ignorato gli alleati per mesi – è tornato a invocare allo scopo di liberarsi dell’ombra di Salvini. In questa sede anche gli altri partiti del centrodestra potranno fare le proprie valutazioni. Forza Italia non è disposta a stendere il red carpet all’ex Ministro dell’Interno. Miccichè, che però esclude un interessamento in prima persona, l’ha già fatto capire: “Se non sarà Musumeci, toccherà a Forza Italia esprimere la candidatura – ha detto al Giornale di Sicilia -. Siamo stati per 20 anni la prima forza della Sicilia e non abbiamo mai avuto il presidente. Mi pare sia arrivato il tempo di recuperare”. Concetto ribadito questa mattina in un’intervista a Repubblica: “Il candidato in Sicilia non si decide per compensare la Calabria. C’è un presidente uscente, si decide alla fine se confermarlo. Fino ad allora nessuno può esprimere il candidato. Aggiungo che la Lega farebbe molta fatica a esprimere il presidente della Regione. E aggiungo che un minimo di difficoltà ad avere presidente uno che obbedisce troppo ai voleri della Lega ce l’avrei anch’io”.

Anche Fratelli d’Italia potrà giocarsi le sue chances, sulla base dei sondaggi che danno il partito della Meloni in espansione: Stancanelli, per il momento, ha detto di non avanzare pretese, ma ha già chiarito che “a questa terra non serve l’uomo solo al comando, ma un leader che abbia rispetto delle tante sensibilità e delle diverse anime della coalizione, che riesca a coordinare, a parlare ed essere leale con tutti”. Un identikit che non sembra corrispondere affatto a quello di Musumeci. Lo stesso Stancanelli, ex sindaco di Catania, sa cosa vuol dire governare, è in perfetta sintonia con la Meloni e sarebbe l’unico politico, per trascorsi e spessore culturale, capace di riportare i reduci di Diventerà Bellissima alla casa del padre; nonché l’unico (potenziale) governatore in grado di ripulire Palazzo d’Orleans da bulli e ominicchi. Rappresenta la carta a sorpresa, probabilmente quella vincente. Adesso, però, bisogna fare i conti con l’appetito di Salvini. E persino i partitini di area popolare e cattolica, che da un lato minacciano il ritorno del ‘grande centro’, dall’altro sanno di doversi agganciare a una coalizione con la Lega e FdI per evitare di scomparire.

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