Musumeci è ancora per qualche mese presidente della Regione – a meno di improbabili dimissioni – ma l’operazione “trasloco” è già cominciata. Il tour di Miccichè nel Catanese, la tavola rotonda con Lombardo e Stancanelli, la discesa in campo di De Luca, ma soprattutto gli ultimi disguidi all’Ars (e la promessa di azzeramento della giunta) rappresentano una pietra tombale sulla sua stagione di governo. E anche i suoi “cerchi magici” (al plurale) adesso tremano. Del primo fanno parte gli assessori più irriducibili: Ruggero Razza, Gaetano Armao e Manlio Messina. L’ultimo, in virtù dei buoni uffici romani, potrebbe sbarcare a Montecitorio in quota FdI: lo desidera ardentemente. Alla stregua di Razza e di Musumeci medesimo, che aspira a un seggio al Senato sotto le insegne della Meloni. Il destino di Armao, invece, è l’avvocatura: l’attuale assessore all’Economia si batterà per conservare la sua posizione – “garantita da Berlusconi”, così dice – fino al termine della legislatura. Poi, adieu.
Restano da sistemare quelli del secondo cerchio magico. A partire dai discepoli dell’Assemblea. La ricandidatura al parlamento siciliano di Alessandro Aricò è insidiata dal segretario particolare di Musumeci, Marco Intravaia, giovane palermitano di belle speranze, su cui il governatore scommette parecchio. Intravaia, figlio del vicebrigadiere dei carabinieri Domenico, morto nella strage di Nassiriya del 2003, è presidente del Consiglio a Monreale, ed è stato per lunghi tratti un membro del Cda dell’Orchestra Sinfonica siciliana. E’ giovane e punta dritto al parlamento regionale. Dove è in bilico la conferma di Alessandro Aricò – più che altro per un conflitto “territoriale” – che in questi anni ha ricoperto un ruolo delicato: quello di capogruppo di Diventerà Bellissima. In perenne oscillazione fra gli scatti di Musumeci, in rotta coi deputati, e la necessità di mantenere un profilo istituzionale solido anche in aula, nonostante le intemperanze del leader (e gli scazzi col presidente Micciché). Sarà difficile – ma potrebbe rientrare nella exit strategy generale – fargli ottenere la candidatura a sindaco di Palermo (ha già corso nel 2012). Bisognerà scontrarsi con le rivendicazioni di Fratelli d’Italia e della Meloni, che per accontentare Musumeci sulla strada di Palazzo Madama, potrebbe puntare su Carolina Varchi per il dopo-Orlando. Strettoie difficili da percorrere.
Restano da “ricompensare” Giusy Savarino, attuale portavoce di Diventerà Bellissima e presidente della quarta commissione dell’Ars, e il marito Giuseppe Catania, al quale è stata affidata la guida dell’Esa, l’Ente di sviluppo agricolo. Le nomine di sottogoverno – va da sé – sono legate al carro dell’esecutivo di turno. Per rimanere nella ‘bolla’ servirebbe la benevolenza (per nulla garantita) di chi arriverà dopo. Dell’apparato di corredo fanno parte, inoltre, Michela Giuffrida, giornalista ed ex europarlamentare del Partito Democratico, nominata portavoce del presidente a cifre non banali; Tuccio d’Urso, ex dirigente regionale, che dopo l’addio al dipartimento Energia (per raggiunti limiti d’età) ha dovuto accomodarsi sulla poltrona (scomoda) della struttura commissariale tecnica anti-Covid, dove si è occupato del potenziamento di reparti e pronto soccorso; e l’avvocato Giacomo Gargano, attuale presidente dell’Irfis. Cioè la banca della Regione che durante la pandemia ha drenato molte delle misure di sostegno promosse da governo e Assemblea. Smazzando contributi alle imprese.
Una classe dirigente è cresciuta all’ombra di Musumeci, ma ora che il futuro del governatore è pesantemente in bilico, dovrà sloggiare altrove. Gli incarichi fiduciari sono, appunto, come la fiducia: vanno e vengono. L’unico modo per restare politicamente attivi è candidarsi: ma quanta voglia avrebbe il presidente uscente, ammesso che esca, di sostenere la corsa solitaria dei suoi delfini?