Professor Ugo Nespolo parliamo un po’?
“Con piacere”.
Lei ha fatto e fa un sacco di cose; lei esprime arte in mille modi, nelle sue opere. Lei che ha addosso l’odore della storia che l’arte ha costruito cosa sente in merito a queste “installazioni”? Io conosco i quadri, comprendo l’arte nei limiti delle mie conoscenze, amo la lingua parlata dagli artisti ma le giuro che di queste installazioni, e non solo di quelle che Manifesta ha portato a Palermo, non riesco proprio a capire il senso.
“Mah. Installazioni… è un termine vago… Sembra più un termine che indica un contenitore di tutto che ognuno vuole metterci dentro. In questa idea di post modernità dove “anything goes and everything goes”, tutto va bene, tutto prende il nome “arte”. Ma ne ha davvero gli attributi?”.
Eh lo chiedo io a lei, perché sembrano esprimere concetti apparentemente alti ma non sono un po’ sopra le righe?
“Sì, di questo passo dove tutto passa finiremo per non dare più valore a ciò che si fa. Ci stiamo riempiendo di manifestazioni artistiche di cui non comprendiamo più l’utilità; queste installazioni creano un atteggiamento dove non si fa più una scelta di qualità e credo che questo lasci il tempo che trova”.
Vedo che spesso questi artisti portano arte entrando in strutture molto prestigiose, palazzi colmi di storia e cultura…
“Sono le strutture stesse che spesso portano arte alle loro installazioni non il contrario. Senza nulla togliere a quell’arte insita in alcune installazioni che hanno un senso perché racchiudono un tema e offrono molto a chi le guarda”.
C’è meritocrazia in questo lavoro delle installazioni secondo lei?
“No. Mi sembrano ormai dei calderoni dove ogni cosa è arte. Manca quel tratto culturale; manca lo studio, il lavoro, la fatica. L’arte non è solo uno slancio emotivo momentaneo. L’arte è studio, lavoro, fatica. Non è accumulazione”.