L’ex pm Antonio Ingroia è stato condannato a un anno e 10 mesi, per peculato, dal gup di Palermo. L’indagine che ha portato al processo, celebrato col rito abbreviato davanti al gup Maria Cristina Sala, nasce da una segnalazione della Corte dei conti relativa al periodo in cui Ingroia, su nomina dell’ex governatore Rosario Crocetta, era stato nominato amministratore della società regionale Sicilia e-Servizi (poi divenuta Sicilia Digitale). All’ex pm si contestava la percezione di rimborsi indebiti e di una indennità di risultato indebita. Per la prima accusa l’imputato è stato condannato a un anno e 10 mesi, per la seconda è stato assolto “per non aver commesso il fatto” con la formula dubitativa.

Secondo i pm, bypassando l’assemblea dei soci, l’ex magistrato si sarebbe liquidato in conflitto di interessi un’indennità di risultato di 117 mila euro. Oltre all’aspetto dell’autoliquidazione, che non ha retto di fronte ai giudici, l’accusa ha puntato il dito contro l’ammontare dell’indennità. La legge, infatti, stabilisce che non possa essere superiore al doppio dello stipendio annuo lordo del manager. Stipendio fissato per Ingroia in 50 mila euro, ma che per il 2013, avendo l’ex magistrato lavorato solo tre mesi, era di molto inferiore. Peraltro la somma intascata dall’ex manager – non confermato nell’incarico – avrebbe ridotto l’utile della società informatica della Regione a poco più di 33 mila euro. Nei conti di Ingroia, insomma, sarebbe finito poco meno dell’80% degli utili della società.

“Farò appello. Ma resta l’amarezza per una giustizia che si è fermata a metà: mi ha assolto dall’imputazione più grave e mi ha condannato per un’altra che non sta in piedi”. E’ la reazione dell’ex pm Antonio Ingroia, che, a proposito dei rimborsi indebiti, aggiunge: “Sarebbe ridicolo pensare che avrei dovuto caricarmi le spese di viaggio e di soggiorno. Non era previsto dagli accordi. Anzi, era chiaro che quelle spese non gravassero sul mio stipendio di tremila euro al mese”. “Del resto – aggiunge – anche al mio predecessore, che veniva da Catania, gli venivano rimborsate le spese. E nessuno ha mai sollevato alcun dubbio”. In 20 mesi di viaggi tra Roma, città in cui viveva dopo aver lasciato la magistratura, e Palermo, dove ricopriva la carica di amministratore della società, solo di alberghi e ristoranti avrebbe speso 37 mila euro, tutti pagati dalla Regione. Indebitamente, ha sostenuto la Procura e, vista la condanna, anche il gup.