Sono quasi dodici anni che il governo di Raffaele Lombardo, per decreto, decise di archiviare la storia dei termovalorizzatori. E disporre l’annullamento, in autotutela, di tutte le procedure d’affidamento per la costruzione dei quattro impianti di incenerimento che, nei piani del suo predecessore, Totò Cuffaro, avrebbero risolto una volta per tutte il problema della monnezza siciliana. Il 27 giugno scorso, con un Avviso pubblicato dal dipartimento Acqua e Rifiuti, la Regione ha riaperto la pratica, ma la polemica derivante dalla mancata continuità amministrativa fra Cuffaro e Lombardo, rappresenta un fatto di rara attualità. Che il tempo non ha mai cancellato.
Nel corso della conversazione di Aidone con Mirello Crisafulli, l’ex governatore ha rovesciato sul tavolo una serie di accuse. La prima: “I termovalorizzatori? E’ forse la vicenda che mi ha portato in galera: perché una cosa sono le sceneggiate, un’altra sono i fatti…”. La seconda: “Avevamo tutti i pareri e li stavamo costruendo. Ma un certo punto qualcuno – che da quell’accordo non poteva trarre profitto – cominciò a giocare altre partite perché non si facessero più”. E infine, la terza: “Per fermare un progetto basta dire che c’è in mezzo la mafia. Ma la mafia sta dove si lucra, e i termovalorizzatori avrebbero fatto risparmiare soldi alla Sicilia. Prendete, invece, le discariche: chi è stato così bravo da permettere ai proprietari di arricchirsi?”.
Rispondere a questi interrogativi, tutti meritevoli di approfondimento, è impossibile. Ma la ricostruzione storica può aiutare a farsi un’idea. Che Totò Cuffaro fosse a favore della termovalorizzazione appare chiaro dal lontano 2002, quando, nella veste di commissario delegato alla gestione dell’emergenza rifiuti, approva un Avviso pubblico “per la stipula di Convenzioni per l’utilizzo della frazione residua dei rifiuti urbani, al netto della raccolta differenziata, prodotta nella Regione Sicilia”. In quel progetto vengono segnalate un paio di anomalie. La prima è squisitamente tecnica: cioè la mancata pubblicazione dell’Avviso sulla GUCE (la Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea). Questo ‘difetto’, inizialmente, non impedì la formulazione di offerte da parte di sette raggruppamenti temporanei d’impresa e il successivo affidamento in favore di quattro di essi (gli altri tre vennero esclusi). Dopo la firma della convenzione (ventennale), i lavori per la costruzione dei termovalorizzatori vennero più volte sospesi o prorogati con una serie di atti emessi tra il 2004 ed il 2006, nelle more del passaggio di competenze dall’organo commissariale alla neonata A.R.R.A. (l’agenzia regionale per i rifiuti e per l’ambiente).
Fu in tale contesto che il 18 luglio 2007 intervenne la Corte di Giustizia Europea ravvisando una serie di irregolarità e di inadempimenti in materia di pubblicità. Anche la commissione Europea, interpellata in seguito, sancì espressamente “l’obbligo di provvedere all’immediata cessazione di qualsivoglia efficacia delle convenzioni di affidamento e alla loro rimozione”. Così la Regione si affidò a una exit strategy: il 27 aprile 2009, sulla GUCE, venne bandita una nuova gara aperta per la gestione del sistema integrato finalizzato al trattamento e smaltimento rifiuti prodotti nei vari ATO. La gara, però, andò deserta. Il 23 luglio 2009, sempre sulla GUCE, vennero pubblicati gli avvisi di avvio della procedura negoziata ai sensi di legge. Ma anche in questo caso, spirato il termine per la presentazione delle offerte, non risultava pervenuta nessuna domanda. Si arrivò così, con provvedimento n. 341 dell’11 settembre 2009, alla risoluzione per inadempimento dell’accordo e della convenzione. E, in seguito, con il decreto n.548/2010, all’annullamento in autotutela delle procedure. “Ciò – come scrive la commissione Antimafia, al termine dell’inchiesta sul ciclo dei rifiuti – provocò l’apertura di un contenzioso milionario da parte delle imprese, che nel 2015, però, si chiuse con un accordo transattivo. Anche se la D.D.A. di Palermo, nel frattempo, avvierà sulla gara d’appalto una capillare attività d’indagine che, nonostante l’esito finale (archiviazione per intervenuta prescrizione), svelerà un vero e proprio accordo a tavolino”.
E’ quello di cui parla l’ex assessore regionale all’Energia Pierpaolo Russo, convocato in audizione da Fava: “Un numero fattoriale – sono le parole dell’ex componente della giunta Lombardo – è un’equazione che si usa per stimare il calcolo delle probabilità. Sa quante possibilità c’erano che la gara potesse andare così com’è andata? Una su 949.173.615. Tanto per dare un’idea, le possibilità di vincere il superenalotto sono una su 622 milioni”. Secondo la commissione medesima, era “più semplice vincere il superenalotto con una puntata secca che determinare, per pura casualità, la perfetta simmetria delle quattro offerte che si aggiudicano l’appalto per i termovalorizzatori senza mai sovrapporsi. Un accordo di cartello che aveva, come posta in palio, cinque miliardi e mezzo di vecchie lire per vent’anni. Centodieci miliardi”. Un sospetto confermato dalla Procura di Palermo: “Può tranquillamente concludersi che l’ipotesi investigativa iniziale – quella, cioè, che ritiene che la procedura per la stipula delle convenzioni per la realizzazione dei termovalorizzatori sia stata una gara meramente apparente, in cui tutto era già deciso a tavolino – deve ritenersi dimostrata in esito agli elementi di prova acquisiti”.
Sebbene il Gip accogliesse la richiesta d’archiviazione da parte della Procura relativamente al reato di corruzione (mentre la turbativa d’asta cade in prescrizione), restano alcuni dubbi irrisolti: la ripetuta presenza di alcune società in tutti i raggruppamenti; la costituzione delle società presso lo stesso notaio, lo stesso giorno e con numeri di repertorio progressivi; l’aver prestato deposito cauzionale lo stesso giorno e presso stesso istituto di credito. Ma soprattutto, ciò che rileva la commissione Antimafia, “è il fatto che non siano state chieste ed ottenute preventivamente le informative antimafia sulle aziende presenti nei raggruppamenti d’impresa”. Tesi sostenuta anche da una relazione della Corte dei Conti: “Puntualmente – si legge – una delle società riunite in associazione temporanea d’imprese aggiudicataria di 2 dei 4 sistemi integrati è risultata infiltrata dalla criminalità mafiosa. Né, certo, può essere di sollievo il fatto che, come affermato dal Commissario delegato, l’impresa di cui si parla ‘non è più presente nelle due società consortili (…) avendo ceduto le proprie quote’, dal momento che, evidentemente, con la cessione delle proprie partecipazioni la stessa ha lucrato gli effetti positivi dell’aggiudicazione delle cospicue commesse pubbliche…”. Una tesi che l’ex governatore Cuffaro, in Antimafia, non fa mistero di non condividere: “Il nostro compito, quando poi non ci fu più il certificato antimafia, era quello di escludere Altecoen. Che poi Altecoen le abbia vendute (le azioni, ndr) non è un problema sul quale possiamo intervenire…”.
Da quella stessa audizione parte l’atto d’accusa nei confronti di Lombardo: “La cosa che più mi ha turbato in questi anni – rivelava l’attuale segretario regionale della Dc – è l’avere sentito, dal governo che è venuto dopo di me (Lombardo ndr), che aveva bloccato i termovalorizzatori perché c’era il malaffare! Io ricordo che il governatore che è venuto dopo di me era lo stesso che stava con me quand’ero al governo ed i termovalorizzatori li aveva approvati! Dopo di ciò, è vero esattamente il contrario. Basta leggere, negli ultimi anni che cosa è successo sulle discariche per capire che il malaffare si insidia là, nelle discariche, non nei termovalorizzatori… Abbiamo fatto diventare la Sicilia una pattumiera”. Una pattumiera a perdere, dato che lo stesso Cuffaro, ad Aidone, ha sostenuto che “dal 2008 al 2018 i siciliani hanno pagato 16 miliardi di euro per portare i rifiuti in discarica”. “I Comuni – ha attaccato l’ex governatore – pagano 256 euro a tonnellata per il conferimento. Coi termovalorizzatori, secondo l’accordo dell’epoca, avremmo potuto farlo per 74 euro a tonnellata. Il 99% dei Comuni che oggi si trova in default lo deve ai rifiuti… E non è bastato triplicare i costi della Tari per risolvere la questione. E’ chiaro che con questo giro di soldi qualcuno ci lucra, no?”. Altra domanda di cui – probabilmente – già conosciamo la risposta.
Il business dei signori delle discariche, negli ultimi anni, è aumentato a tal punto da non far dormire la politica. Che prima, con la scusa dello stato d’emergenza, ha concesso proroghe o autorizzazioni l’ampliamento degli impianti, e adesso cerca di ripristinare affannosamente la centralità del pubblico. Pur nella consapevolezza che è impossibile ‘convertire’ il sistema con uno schiocco di dita. La paventata chiusura della discarica di Lentini, di proprietà della Sicula Trasporti (oggi in amministrazione controllata, dopo che le inchieste che hanno fiaccato la famiglia Leonardi) ha fatto tornare di moda i termovalorizzatori. Il 27 giugno, il dipartimento regionale Acqua e rifiuti ha pubblicato l’Avviso per l’affidamento in concessione della “progettazione, costruzione e successiva gestione fino a due impianti per il recupero energetico da rifiuti non pericolosi”. Si chiameranno ‘termoutilizzatori’ e dovranno avere, ciascuno, una capacità di trattamento da 350 a 450 mila tonnellate all’anno di rifiuti indifferenziabili. L’iter è quello della finanza di progetto, pertanto le risorse dovranno essere messe a disposizione dalla società aggiudicataria, che dovrà anche gestire l’impianto in concessione. Altri privati.
Gli operatori economici interessati all’avviso pubblico, hanno ottenuto una prima proroga e potranno inviare la documentazione entro il 2 novembre. “Con questa scelta – ha commentato Musumeci – apriamo una nuova stagione che consentirà alla Sicilia di liberarsi finalmente dalla schiavitù delle discariche e allinearsi alle più avanzate Regioni del Nord”. Sembra di averla già sentita. Stavolta a mettersi di traverso – alla luce del sole – sono le opposizioni. A partire dai grillini: “A Palazzo D’Orleans – sostengono Giampiero Trizzino e Stefania Campo – si ragiona di gestione dei rifiuti come negli anni ’80. Tutte le città che in passato hanno adoperato o continuano ad adoperare la termovalorizzazione per il residuo – dicono – hanno fatto partire il conto alla rovescia per la dismissione degli impianti. Un termovalorizzatore ha bisogno di combustibile per alimentare i forni, altrimenti non raggiunge il potere calorifero che ne garantisce il funzionamento a regime. In altri termini ha bisogno di materiali come la plastica, il legno e la carta. Tutti materiali che oggi, per disposizioni di direttive non possono più finire nei forni, perché vi è l’obbligo di recuperarli”.
Anche Claudio Fava, chiaramente, è contrario: “Bisogna capire – aveva detto in un’intervista a Buttanissima – se deve prevalere la salute del territorio e della comunità, e quindi cercare impianti che rappresentino il massimo livello di affidabilità tecnologica, di tutela ambientale e di efficacia rispetto al carico che devono smaltire. O se si tratta di agevolare il profitto dei privati: in questo caso, andremmo verso termovalorizzatori di cuffariana memoria che erano inutilmente giganteschi, totalmente spropositati rispetto alle esigenze della Sicilia, e destinati a produrre un ulteriore valore aggiunto negativo rispetto ai temi dell’inquinamento ambientale. Su questo, non è detto che l’interesse dei privati coincida con quello del pubblico”. La ruota ha appena ripreso a girare.