In uno spumoso delirio di leccaculismo, il boss dei pagnottisti – quello che assicura a enti e consorzi “protezione mediatica” dietro pagamento di un pizzo sostanzioso – ha impiegato il Santo Natale in una operazione dalla quale pensa di rosicchiare un’altra buona fetta di denaro pubblico. Pensando di incensare Schifani e di nascondere l’ultimo azzardo politico del presidente della Regione – tre milioni di euro regalati a Mediaset – questo avventuriero dell’informazione continua a pubblicare dei post su Facebook con i quali esalta ed osanna il successo ottenuto, in termini di ascolti, del Concerto di Natale pagato dalla Regione e affidato da Mediaset ai tre tenori del Volo. Ma i pochi lettori che ancora gli vanno appresso lo hanno preso a pesci in faccia e gli hanno ricordato senza reticenze la vergogna di uno spettacolo, come quello di Agrigento, costruito con una dilatata sudditanza della Regione verso i padroni di Forza Italia, con le bugie, con le finzioni e con la cartapesta di uno avvenimento registrato sotto lo scirocco d’agosto e spacciato per autentico la vigilia di Natale.
Povero boss dei pagnottisti. Si sentiva forte, in questo fine anno, non solo perché era riuscito ad arraffare altri ottantanta mila euro da Palazzo d’Orleans; ma anche perché era riuscito a intrappolare nel suo maleodorante bar – il bar dei pagnottisti appunto – due sedicenti uomini di cultura: Marco Betta, sovrintendente del Teatro Massimo, e Lillo Pumilia, l’ex ragazzo prodigio della Dc che ha trovato un comodo rifugio nelle Orestiadi. Sono cascati nelle sue spire come due boccaloni disarmati e disarmanti. Se la cultura non sa più distinguere il grano dal loglio, il sopruso dalla legalità o la decenza dal malaffare, che cultura è? Forse è un’illusione. O un inganno.