Partiamo dai numeri: in Sicilia i positivi hanno superato quota 100 mila. I posti di area medica occupati sono 903, ben oltre il 20%. Mentre in terapia intensiva si contano “appena” 38 pazienti. Ieri la commissione Salute dell’Ars ha convocato il soggetto attuatore dell’emergenza Covid, ing. Tuccio D’Urso, per fare il punto sul potenziamento degli ospedali. Solo 30 cantieri (dei 50 previsti) sono stati ultimati. Quattro non sono nemmeno partiti. D’Urso si appella al ritardo nel trasferimento della terza tranche dei fondi statali. Risorse che vengono a mancare, ad esempio, al Policlinico di Palermo, dove viaggiano in ritardo i lavori per il completamento del pronto soccorso (400 mila euro che verranno anticipati dall’Università), del blocco operatorio e del tunnel che permetterà il trasporto dei pazienti da un reparto all’altro.
Ma sul piano dell’edilizia ospedaliera i ritardi non si contano. Al Policlinico di Messina restano in attesa del nuovo pronto soccorso (manca un milione e mezzo); all’Umberto I di Siracusa, una necropoli rivenuta durante gli scavi ha rallentato il cantiere. Ma soprattutto nella Sicilia occidentale bisogna fare i conti con una gap infrastrutturale importante rispetto all’area orientale dell’Isola. A soffrirne maggiormente è l’ospedale Cervello di Palermo, dove il Pronto soccorso rimane intasato. Ma anche il Buccheri-La Ferla e l’Ingrassia soffrono maledettamente: 330 dei 411 posti dedicati al Covid, in provincia, sono occupati e si sta provvedendo alla riconversione di nuovi reparti.
Ma non è così che dovrebbe funzionare secondo Antonio Giarratano, direttore del dipartimento di Emergenza Urgenza del Policlinico di Palermo: “Omicron 5 è un’influenza pesante che come tutte le malattie infettive può anche complicarsi, ma in percentuale molto bassa – ha detto a Repubblica -. Preservati i percorsi e le aree per i pazienti fragili, occorre trovare altri modelli organizzativi che in altre regioni sono applicati da mesi. Il paziente Covid non fragile, nel 90 per cento dei casi, oggi non ha problemi respiratori. Nelle regioni dove questi pazienti vengono seguiti nei reparti non-Covid in stanze dedicate o in padiglioni a se stanti, se i reparti non lo consentono strutturalmente, il sistema sanitario regge. Nelle regioni come la Sicilia dove il modello è centralizzato, poco tecnico e molto politico, il sistema territoriale e ospedaliero è in affanno”.
Ad Huffington Post si è espresso l’immunologo Mauro Minelli, responsabile per il Sud-Italia della Fondazione per la Medicina Personalizzata. “Se oggi osserviamo il rapporto tra i ricoverati gravi per Covid e il numero ufficiale dei positivi (che, peraltro, è sottostimato), ci rendiamo conto che siamo di fronte a una situazione completamente differente rispetto a quella delle precedenti ondate. Lo stesso discorso vale per i decessi. Questo può essere considerato un segnale positivo rispetto all’evoluzione della pericolosità della malattia”. D’altronde, spiega l’esperto, “le difficoltà che il virus sta incontrando e che incontrerà sono dovute all’azione combinata di due fattori: le vaccinazioni e le infezioni di persone vaccinate e non vaccinate. Ecco perché completare i programmi di vaccinazione è ancora necessario per tenere sotto controllo il Covid: purtroppo, invece, la sensazione di minore allarme ha ridotto anche l’accesso alle quarte dosi da parte della popolazione fragile”.