Si accostava alle cose con curiosità ma anche con stupore: che la prima è caratteristica e fondamento del Dna in un giornalista, il secondo forse meno ma le regalava spesso una visione non inficiata da pregiudizi, da sovrastrutture. Non ingenua, però, perché lei coniugava perfettamente il senso della realtà con quello dell’ironia e dello sguardo critico.
Laura Nobile, giornalista culturale, giovanissima cronista di “Mediterraneo” prima e de “la Repubblica” poi, arrivata pochi mesi dopo l’apertura della redazione palermitana, è morta a 47 anni dopo aver lottato per molti, troppi anni contro un male che aveva domato più volte, che aveva arginato con la volontà e la tenacia del lavoro, cui faceva quotidianamente lo sgambetto tra interviste, conferenze stampa, “prime” della prosa e della lirica, reportage, recensioni. In prima linea, sempre. Agguerrita nonostante fosse dolcissima, minuta e fragile come la ricordano oggi sovrintendenti, direttori di teatri e di musei, cantanti, attori, operatori culturali, uffici stampa.
Come spesso càpita, Laura faceva l’insegnante di Lettere come mestiere principale ma nel giornalismo infondeva la stessa forza, lo stesso piglio, lo stesso entusiasmo che in cattedra. Sorridente ma severa con se stessa, ansiosa che le potessero “soffiare” mezza battuta “off record”, puntuale, precisa: insomma, una di quelle collaboratrici che per un caposervizio o un redattore capo sono una garanzia. Ha raccontato così oltre un quarto di secolo di cultura e di spettacoli in Sicilia.
Si concedeva solo qualche piccola “passione” come la collezione di matite da tutto il mondo che acquistava dai bookshop dei musei alle piccole cartolerie di provincia. Gli ultimi anni della sua vita sono stati fortemente segnati dalla malattia ma anche dalla caparbietà che ha sfoderato per metterla da canto e che si tramutava non solo nella voglia di “esserci” ancora (a una “prima”, ad un’inaugurazione, anche a una festa tra amici e colleghi) ma pure in qualche piccolo “vezzo” come quello di farsi fotografare o di “selfizzarsi” soprattutto in compagnia come a volere lasciare un ricordo, quasi come a raccomandare “non dimenticatemi”.
Piccolo aneddoto personale, proprio per il puntiglio di fugare un’impossibile ipotesi di smemoratezza, quasi una “gag” che lei mi perdonerà di aver reso pubblica perché siamo stati noi due, per primi, a riderne insieme. In un palco del Teatro Massimo lei, che aveva qualche difficoltà d’espressione vocale per via del male, sussurrava dei giudizi al mio orecchio, ben avviato ormai a una sordità patologica. A un certo punto le dissi: “Laure’, qui dentro per noi due non c’è possibilità di intenderci. Fuori, a voce alta, ne riparliamo”. Dimenticammo quel che seguì dello spettacolo, in preda al fou rire di due bambini, monelli e complici insieme.