Il 18,2% raccolto da Fratelli d’Italia nell’Isola, secondo l’ultimo sondaggio di Keix Data for Knowledge per il quotidiano “La Sicilia”, è certamente a causa della mancata discesa in campo di Manlio Messina, vicecapogruppo alla Camera ed ex assessore regionale al Turismo, che per la seconda volta di fila – dopo la proposta di candidatura a sindaco di Catania – ha marcato visita. La sua determinazione e il suo incrollabile aplomb, avrebbero garantito ai patrioti qualche punto percentuale in più, fino a consentire il sorpasso a quei diavoli dei grillini (che per il Balilla rappresentano, assieme al Pd, un autentico tarlo). Invece il dato siciliano resta distante dalle proiezioni nazionali e, in generale, somiglia molto a quello delle ultime Politiche al Senato (alle Regionali andò persino peggio, con il 15%). Il partito rischia davvero il sorpasso di Forza Italia. Ma a cosa è dovuto?

Probabilmente alle difficoltà di creare una classe dirigente che sappia declinare il “fascino” della proposta della Meloni anche alla Regione. Un posto dove FdI si è assicurata, con Schifani, una vetrina di prestigio (quattro esponenti in giunta) e la vetrina del Turismo, regno dello spendi e spandi; e dove ha superato indenne lo scoglio del fallimento di SeeSicily, che costerà alle casse dell’ente un buco di 10 milioni e forse più. Eppure il partito non è ancora stato in grado di cambiare passo, forse a causa di qualche assessore sopravvalutato. A Elvira Amata, attuale responsabile del Turismo, è stato chiesto il sacrificio di candidarsi per Bruxelles (come alla collega d’aula Giusy Savarino) anche se il partito punta dichiaratamente su due ometti: il primo è Giuseppe Milazzo, un transfugo della seconda ora (nel senso che se ne uscì da Forza Italia nel 2021, un paio d’anni dopo essere stato eletto in Forza Italia e aver scattato qualche foto con il Cav., buon’anima); l’altro è Massimiliano Giammusso, due volte sindaco di Gravina (è tuttora in carica), ed ex presidente di un movimento che è tutto dire (Avanguardia).

Rientrato in FdI per merito di Salvo Pogliese, attuale senatore, oggi si è assicurato la copertura politica di tutto lo stato maggiore del partito. Quello che conta nelle istituzioni e che, a furia di arroganze, si è assicurato il controllo delle operazioni nel mondo del turismo, dello spettacolo e della cultura: ne fanno parte, tra gli altri, il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gaetano Galvagno, e lo stesso Messina. Che gioca a fare il democratico: partecipa alle convention elettorali di tutti, mette a disposizione la propria segreteria nuova di zecca (a Catania) per farci “un’officina di idee” e arriva finanche a pubblicare una grafica riassuntiva coi nomi dei candidati, chiedendo al suo elettorato – quale elettorato, dato che lui evita accuratamente di candidarsi? – di votare chi gli sta più simpatico. Il Balilla ragiona in termini di comunità e, dopo aver provocato l’addio di Raffaele Stancanelli (migrato alla Lega per motivi di forza maggiore), costruisce lo zoccolo duro che possa continuare a garantirgli il controllo dell’assessorato al Turismo, la vera ossessione delle sue giornate (e di quelle del ministro delle gaffe, Lollobrigida).

Ecco perché sotto il palco, all’inaugurazione della sua segreteria politica, c’era pure l’allievo Francesco Scarpinato, passato ai Beni culturale dopo la pessima figura dei soldi buttati per una mostra a Cannes. Messina è l’oracolo di questi Fratelli d’Italia. Un partito che ha perso per strada le sue radici di destra e prova a riorganizzarsi secondo la logica del potere: quella che è nostra la Sinfonica, nostro il cinema e già che ci siamo anche la Federico II. Fuori, o ai margini, di questo schema c’è anche l’ex assessore alla Salute, Ruggero Razza, che per la prima volta si presenta senza il traino di Musumeci (ministro un po’ disinteressato alle questioni elettorali). Razza, a differenza di Giammusso, non ha potuto nemmeno contare sul fitto volantinaggio imbastito qualche sera fa allo stadio “Massimino”, prima della sfida fra Catania e Avellino valida per i playoff del campionato di Serie C. Si limita a qualche incontro con vecchi amici, come l’ex assessore al Territorio Toto Cordaro, e a post entusiastici sui social, che però nascondono qualche innegabile difficoltà.

Se a Fdi, sulla scorta dell’ultimo sondaggio, dovessero scattare un paio di deputati, Razza non è certo del seggio. Dovrà sudarselo in un derby tutto etneo col sindaco avanguardista di Gravina. Anche se Milazzo, potentissimo sul fronte palermitano, sta provando a dargli una mano inserendolo nella terzina ideale con lui e Giorgia. Chissà, invece, cosa farà Marco Intravaia, l’uomo-ombra di Musumeci e deputato all’Ars, che di recente ha abbandonato il partito dopo essere entrato in rotta di collisione con suoi “gestori”. Ha garantito il proprio sostegno al presidente Schifani e alla maggioranza, anche se “le fratture” con FdI “sono diventate sempre più ampie nel corso del tempo – ha detto Intravaia – per l’inconciliabilità fra il mio modo di concepire la politica, al servizio dei cittadini e del territorio, e chi invece è abituato a scelte miopi ed autoreferenziali, interessato a preservare le proprie posizioni di potere anziché dedicarsi ai cittadini e alle esigenze delle comunità”.

L’ex pupillo e segretario particolare di Musumeci non ha digerito la scelta del candidato a sindaco di Monreale, dove FdI è andato in contrasto con l’esperienza dello stesso Intravaia. Così all’autosospensione, e a un periodo di trattative che ha generato una fumata nera, è subentrato l’addio. Segnali di smottamento rispetto al pensiero unico dominante. Anche se l’altro coordinatore per la Sicilia occidentale, Giampiero Cannella, ha subito voluto precisare che “risultano francamente puerili le argomentazioni” di Intravaia. “È evidente come l’onorevole Intravaia sia stato colto da una sorta di priapismo politico che lo ha indotto a considerare Fratelli d’Italia una sorta di veicolo utile solo a raggiungere determinate e personalissime mete”. Un rimpallo di responsabilità che equivale a una perdita – non la prima – della nuova gestione accentrata. Che si sviluppa da Messina (inteso come Manlio) a Roma, dove Francesco Lollobrigida esercita un forte ascendente sui patrioti siculi. E’ il cognato d’Italia, è il potente ministro delle Politiche Agricole, è il fautore della corrente turistica (altrettanto potente) e non commette mai gaffe…