Ha suscitato notevole interesse l’intervento di Mario Draghi al Mit di Boston. Non solo perché l’ex premier parlava per la prima volta di politica estera (e non solo) in una sede prestigiosa da quando aveva lasciato la guida del governo. Ma soprattutto perché ha espresso una posizione molto netta. Le sue parole hanno avuto un taglio politico innegabile e come tali si sono rivolte a un ampio ventaglio di protagonisti e comprimari della scena italiana. Draghi in sostanza ha stabilito un nesso diretto tra il futuro dell’Unione europea e le prospettive dell’Alleanza atlantica. Come dire che per molti anni ancora l’Europa avrà bisogno dell’America e quest’ultima a sua volta avrà bisogno di un’Europa compatta e consapevole del proprio destino, che è tutto all’interno della cornice occidentale. Ne deriva che la guerra in Ucraina è un fondamentale banco di prova per saggiare la consistenza di questo schieramento, anzi di questa comunità. Non stupisce allora che il fronte filo-Putin, forte e trasversale in Italia più che in qualsiasi altro paese europeo, si sia scagliato contro Draghi. Perché è lì esattamente il crocevia che può indirizzare la storia in un senso o nell’altro.

Si dirà che Giorgia Meloni può essere soddisfatta delle parole del suo predecessore, almeno su questo specifico punto (sul resto, dal Pnrr al Mes, il discorso sarebbe diverso). La politica estera del centrodestra si muove in un solco euro-atlantico ben delineato, tant’è che i distinguo dei Salvini e dei Berlusconi sono stati disinnescati. Anche se il fuoco, come si dice, cova sotto la cenere. A sinistra invece la confusione tende ad aumentare: ormai il M5S di Giuseppe Conte rappresenta in forma quasi esplicita la linea favorevole a Mosca, mentre varie ambiguità trapelano nell’estrema sinistra e, come sappiamo, nello stesso Pd di Elly Schlein. Continua su Huffington Post