Il tema dell’accoglienza è da sempre molto spigoloso, ma con l’avvento del virus è diventato quasi inestricabile. La combo Covid-Migranti rischia di avere effetti deleteri sul buon nome (?) della Sicilia, ma anche sulle istituzioni che governano il territorio. Che appaiono, mai come adesso, privi dei necessari requisiti per farlo. La politica è incapace di gestire un’emergenza, figurarsi due.
Fino a ieri, a tarda ora e in pieno stile Conte, il presidente della Regione ha tentato di rassicurare tutti con l’ultima sparata: “La Sicilia non può continuare a subire questa invasione di migranti – ha tuonato, dettando poche righe al suo ufficio stampa -. Tra poche ore sarà sul mio tavolo l’ordinanza con cui dispongo lo sgombero di tutti gli Hotspot e dei Centri di accoglienza esistenti. Si attivi un ponte-aereo immediatamente e si liberi la Sicilia da queste vergognose strutture, iniziando da Lampedusa”. La firma è giunta in nottata. Nel provvedimento si spiega che “è fatto divieto di ingresso, transito e sosta nel territorio della Regione siciliana da parte di ogni migrante che raggiunga le coste siciliane”, ovviamente “al fine di tutelare e garantire la salute e l’incolumità pubblica”. Hotspot e centri d’accoglienza dovranno essere sgomberati entro le 24 di domani: un miraggio.
Musumeci sa che non sarà una passeggiata (“Se vogliono a Roma impugnino pure la mia ordinanza”). Ma è un ultimo tentativo disperato per spaventare il governo centrale e catturare consensi, che di certo non mancheranno: “C’è una colpevole sottovalutazione del fenomeno senza precedenti. E non capiscono quanto stia crescendo la tensione. Vogliono far diventare razzisti i siciliani, che sono il popolo più accogliente di tutto il mondo? Abbiamo avuto fin troppo rispetto istituzionale su questa emergenza, ricambiato da silenzi, indifferenza e omissioni”. Una dimostrazione di forza che, per l’appunto, ha trovato la sponda della Lega e persino di Cateno De Luca, i cui rapporti con Musumeci sembravano consumati. Queste manifestazioni di sostegno, da parte di un mondo poco abituato alla misura, devono e possono far riflettere.
Sono parte anch’esse di un cortocircuito istituzionale senza via d’uscita. Negli ultimi giorni è accaduto che i sindaci di Trapani e Augusta, rispettivamente di Partito Democratico e Movimento Cinque Stelle, firmassero delle ordinanze per osteggiare l’attracco di una nave-quarantena – con tutte le prescrizioni sanitarie a norma – che è stato il governo centrale, marchiato Pd e M5s, a mandare lì. Assurdo. I sindaci, però, restano gli ultimi “colpevoli” della lista, costretti spesso a sobbarcarsi le responsabilità altrui. Pensate a un Totò Martello qualunque, che da mesi si batte per vedersi riconoscere lo “stato d’emergenza” nella sua Lampedusa; o a quel santo di Roberto Ammatuna, primo cittadino di Pozzallo, che un giorno sì e l’altro pure è costretto a rincorrere i furbetti in fuga dall’hotspot. Chi dovrebbe decidere, invece, se ne rimane con le mani in mano, a rigirarsi i pollici, nella speranza che il mare si guasti e il sistema torni a respirare in autonomia, senza bisogno di ventilatori polmonari. Una chimera, d’agosto.
L’emergenza migranti rimane e rimarrà tale. Il Covid però amplifica la percezione di insicurezza, e ha tutto l’effetto di accentuare il malumore (persino) dei più tolleranti. E di quei siciliani che hanno mandato i propri figli a fare festa, tra Malta e la Grecia, e adesso si ritrovano a puntare il dito contro quelli che portano il virus dall’Africa, schierandosi dalla parte di Musumeci. D’altronde, sono pure i governatori a offrire un valido supporto alle tesi più disparate, senza il necessario sostegno dei numeri (i migranti “positivi” sono meno degli “indigeni”). Venerdì pomeriggio, dopo aver appreso dei 38 stranieri positivi a Lampedusa, Musumeci aveva già lanciato l’allarme, preludio alla nota di ieri e all’ordinanza di domani: “Non comprendiamo l’atteggiamento del governo centrale che, oltre a non chiudere i porti siciliani, a più di due mesi dalla nostra richiesta non si è ancora pronunciato sullo “stato di emergenza” per quell’isoletta. Ciò che amareggia, in particolare, è l’indifferenza nei confronti di una piccola comunità che del sentimento di accoglienza e del senso di sacrificio ne ha fatto negli anni una ragione di vita”.
Le uscite a mezzo stampa non si contano più. Ma è difficile risolvere una “crisi” sparando a raffica sui giornali. E se è vero – come è vero – che Roma ha una responsabilità chiara, e non da oggi, sulla gestione del fenomeno migratorio, le uscite di Musumeci – che di mestiere fa il presidente di Regione – lasciano presupporre una cosa sola: che la Sicilia è davvero abbandonata al proprio destino. Una nave senza nocchiero in mare aperto. Una terra di frontiera di cui nessuno si occupa. Tanto meno lui. Che, forse, avrebbe dovuto sollecitare gli uffici del Viminale (così distanti da quando non c’è più Salvini) in altro modo, provando a instaurare un clima istituzionale di confronto, necessario e senza pregiudizi, per far rientrare una situazione giudicata “insostenibile”. E’ in questo modo che la Regione avrebbe potuto rassicurare i propri sindaci, ogni giorno in trincea. Invece la sensazione è che, a monte dei problemi, subentrino sempre e comunque dei pruriti politici che – da una parte e dall’altra – annacquano le questioni, anche le più importanti.
Una menzione di demerito, senza per questo voler incorrere in un “atto di lesa maestà” (per usare un’espressione di Cateno De Luca) va alla ministra Luciana Lamorgese. Il contenimento del fenomeno migratorio, al netto delle telefonate e degli inviti informali, si ferma ad un paio di visite a Tunisi, dove il governo locale è stato invitato a vigilare sui movimenti alla frontiera. L’Italia ha promesso al presidente Kais Saied 11 milioni di euro per facilitare le operazioni di guardia. L’altra decisione della Lamorgese è stata quella di dotare l’Isola di due navi-quarantena per l’isolamento dei migranti che arrivano dal mare (ipotesi a lungo prospettata da Musumeci). Ai tamponi, però, ha sempre pensato la Regione grazie alle unità operativa dell’Usca, e con grande sacrificio da parte dell’assessore Razza. Fare i test non sarebbe di sua competenza, ma poco importa per il bene dei siciliani. La terza manovra, che fin qui per fortuna non si è realizzata, doveva essere l’allestimento di un mega tendone a Vizzini, che fungesse da “ricovero” per i migranti che non trovavano spazio sulle navi. Una riproposizione soft del Cara di Mineo – il business dell’accoglienza non è mai del tutto tramontato – che è stato chiuso nel 2019 dopo anni di inchieste e di disagi.
I migranti sono soltanto l’ultima espressione di un periodo nero che contempla il Covid come nemico assoluto. E irriducibile. “Non è vero che il virus si è indebolito”, ha spiegato il medico (e deputato) Giorgio Trizzino, su Buttanissima. E’ presente e vive in mezzo a noi. La Sicilia è una delle Regioni che ne sta risentendo maggiormente, e che ha registrato in questa fase-3 un numero di contagi di gran lunga più elevato rispetto al picco della pandemia (aprile). Ma attenzione a un dato: non sono i turisti di Bergamo e Brescia a importarlo, come farebbe credere il flusso di persone che si muove – ad esempio – fra le Eolie e le Egadi, che quest’estate registrano il boom. Bensì, siamo noi siciliani a prenderci la malattia a St.Julian, nella capitale dello sballo, e a diffondere focolai in giro per la Sicilia, da Catania a Siracusa a Ragusa. Dove i contagiati – in questi giorni è circolato un post esemplificativo del manager dell’Asp locale, Angelo Aliquò – viaggiano a cavallo dei 17, 18, 19 anni.
Un governo autorevole, a tutti i livelli, avrebbe dovuto inchiodare ragazzi e famiglie alle proprie responsabilità, assumendo posizioni di ferro rispetto all’ignoranza manifesta. E non limitarsi a un tampone e all’obbligo di isolamento per chi arriva dai paesi a rischio (ai turisti di quei paesi – Malta, Spagna, Grecia e Croazia – basta solo indossare la mascherina, fra l’altro). Un governo credibile, in deroga alle limitazioni nazionali, avrebbe potuto reintrodurre l’obbligo di distanziamento sui mezzi pubblici; mentre su aliscafi a catamarani che raggiungono le isole, la gente è stipata come sardine, in barba a qualsiasi precauzione. E’ così da settimane, non da ora. Ma che fine ha fatto il comitato tecnico scientifico della Regione con tutti i suoi consigli? Siamo stati tra i primi a riaprire le discoteche, dopo aver dispensato lezioni sul rigore e sulle chiusure dei supermercati la domenica.
Abbiamo tenuto la barra dritta su un solo aspetto: l’organizzazione sanitaria. Il sistema ha reagito bene alla prima ondata, assai flebile, ed è attrezzato per la seconda. Coi percorsi Covid, all’interno degli ospedali, già definiti e attivi. E’ possibile che nelle prossime settimane, risentendo degli effetti della sbornia di Ferragosto, saltino fuori altri casi fra i giovanissimi. E che sia necessario aumentare il numero dei tamponi per individuarli (quasi) tutti. Ma ciò che risulta davvero urgente, alla luce degli ultimi accadimenti, è riprendere a governare con le azioni e non con le sceneggiate. Con il dialogo e non con le ipotesi azzardate (“Se ne avessi i poteri, chiuderei i porti”, ha detto Musumeci). Senza esasperare gli animi, che rischia di avere soltanto effetti deleteri. Ristabilendo un asse istituzionale con Roma, senza il quale è difficile sopravvivere.