Il vuoto a perdere di Schifani

Il presidente della Regione, Schifani

L’Ars è chiusa per ferie. Il governo – così dicono – non si ferma mai. Ma la prima estate di Schifani è povera di successi. A undici mesi dalla schiacciante vittoria elettorale, il centrodestra non ha cavato un ragno dal buco. Le immagini più vivide di questa legislatura sono quelle degli ultimi mesi: Palermo che brucia, i bivacchi di Fontanarossa, le autostrade smantellate. Non c’è stato spazio per analizzare una singola riforma, né per spendere i soldi dell’Europa, tanto meno per ottenere una revisione degli accordi con lo Stato che, a distanza di due anni dall’ultima stipula, rappresentano un cappio al collo per la Sicilia. L’Assemblea regionale s’è riunita per approvare la Finanziaria e alcuni testi stralcio ad essa collegati (per rimediare all’impugnativa romana): è stata una sessione finanziaria permanente, peraltro infarcita di marchette. Altro che visione.

Il vero punto di caduta, una conquista per tutti, è arrivata in zona Cesarini: trattasi della proposta di riforma delle ex province, con la reintroduzione del voto diretto per eleggere il presidente e i consiglieri provinciali. Oltre trecento poltrone in palio, tutto grasso che cola. Su questo punto i partiti della maggioranza, e persino il Pd, hanno trovato la quadra. Bisognerà oliare alcuni meccanismi – a partire dalla grandezza dei collegi elettorali, passando per la data del voto – e poi potranno partire i comunicati della festa. In verità sono già arrivati dopo il passaggio in prima commissione. Schifani ha detto che è una “riforma attesa da anni”. Già. Ma da chi? Di certo non dai siciliani, sempre più sfiduciati nell’approccio alla politica. Forse dai partiti, che non vedono l’ora di redistribuire alcune caselle fondamentali per fare incetta di consenso. E diciamolo pure: il ritorno delle province, cancellate (male) da Crocetta, serve soprattutto a loro. Alla “casta”.

L’eredità di questa prima estate non si misura sulle leggi approvate, ma sulle occasioni mancate. Sugli incendi, la Regione avrebbe potuto dimostrare di avere le carte in regola. Prevenendoli o, al massimo, spegnendoli. Ma poi è emerso che l’enorme contingente di droni acquisti durante il governo Musumeci sono delle inutili cineserie, perché privi di rilevatore termico all’avanguardia; e che delle 119 autobotti che la Regione s’è aggiudicata con un bando pubblico lungo tre anni, solo una dozzina di esemplari stanno per giungere a destinazione. L’eterna questione dei Forestali, tantissimi ma non abbastanza per contenere la furia dei piromani e gli “scherzi” della natura, è stata riproposta da Schifani a Tajani: l’obiettivo è assumere 300 agenti in divisa, forse 400, da appioppare al Corpo Forestale. Ma prima bisognerà superare un altro ostacolo: si chiama Giancarlo Giorgetti.

Il Ministro dell’Economia, nel corso di un paio di tavoli coi rappresentanti siciliani, aveva garantito la revisione dell’accordo Stato-Regione del 2021, sottoscritto da Conte e Musumeci, che impediva alla Sicilia di rare assunzioni. Una parziale modifica subentrata pochi mesi fa, allo scopo di dilatare i tempi per il rientro del disavanzo, evitando di incorrere in guai peggiori per l’ente, ha solo complicato la questione. Serve una deroga, e serve subito. In una recente lettera indirizzata a Giorgetti, Schifani è tornato alla ribalta: chiede di autorizzare la Regione Siciliana a indire nuovi concorsi per sostituire il cento per cento del personale non dirigenziale andato in pensione dal 2021 in poi. L’obiettivo è “rafforzare la capacità amministrativa anche dell’amministrazione regionale siciliana, in linea con le numerose disposizioni adottate dal governo per il rafforzamento delle amministrazioni centrali”. Nella lettera, Schifani ha evidenziato come la mancanza di turnover ha quasi azzerato ruoli, come quello del Corpo forestale, “cui competono delicatissime funzioni, di prevenzione e tutela del territorio, che in altre Regioni sono svolte da amministrazioni statali”.

Per Schifani “le numerose vacanze nelle dotazioni organiche dell’amministrazione regionale, pur ridotte di diverse migliaia di unità in pochi anni, non potranno tuttavia essere colmate, neanche in parte, qualora non si possa procedere, oltre che al turnover al cento per cento del personale che cesserà dal servizio successivamente alla revisione dell’accordo, anche al recupero, ove possibile totale, delle facoltà assunzionali escluse nel triennio 2021-2023 dalle clausole dell’accordo del 2021”. Giorgetti, per dirla in gergo, ha visualizzato ma non ha ancora risposto.

In questi mesi al governo il presidente della Regione e i suoi assessori – ma qui è determinante anche il contributo degli uffici dei dipartimenti – non sono riusciti a spendere una valanga di fondi europei relativi alla programmazione Fesr 2014-20, che a fine anno l’Europa vorrà indietro. Circa un miliardo è a rischio. Tra i capitoli che rimarranno parzialmente sguarniti, ci sono quelli relativi al dissesto idrogeologico, alla banda larga, alla chiusura del ciclo dei rifiuti (tramite la realizzazione degli impianti di compostaggio). Il piano d’emergenza, nella speranza che vada in porto, servirà solo a riconvertire una parte delle risorse e destinarle a spesa corrente: una sorta di escamotage per non perderli. “Con serietà e grande senso di responsabilità – ha annunciato Schifani -. abbiamo condiviso quest’impegno con l’Assemblea regionale che a luglio ha approvato, nelle competenti Commissioni Bilancio e Ue, la complessa manovra correttiva proposta dal governo regionale e apprezzata dal Comitato di sorveglianza lo scorso 26 luglio”.

Anziché supportare gli investimenti per ridurre il gap col resto del Paese, i soldi finanzieranno le imprese colpite dal caro energia. “Sono stati previsti 50 milioni per incrementare la dotazione del Fondo di garanzia per il sostegno agli investimenti delle imprese siciliane e altri 70 per finanziare lo scorrimento della graduatoria e consentire a molte più aziende di accedere ai finanziamenti agevolati a tasso zero erogati dall’Irfis”. Anche qui, però, siamo nell’ambito dei buoni propositi. Nulla di definitivo, né di circostanziato. Per scoprire tutta la verità, bisognerà attendere il 31 dicembre. Nel frattempo la Sicilia ha avuto accesso a 6,6 miliardi di Fondi Sviluppo e Coesione (FSC) per la programmazione 2021-27 e a una dotazione finanziaria di 5,8 miliardi relativa al PO Fesr, di cui 4,10 miliardi provenienti dai fondi Ue e 1,76 miliardi cofinanziati dall’Italia con risorse nazionali e regionali. Una mole di denaro impressionante, che fa già tremare i polsi. Vista la nostra capacità di spesa, non ci resta che pregare.

Alberto Paternò :

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