Un enorme giro d’affari e i legami con le mafie: da qualche giorno è noto il torbido che pervade a tutti i livelli gli investimenti nell’energia alternativa. L’eolico in particolare. In Italia, dalla potenza delle pale, vengono prodotti ogni anno oltre 10 mila megawatt di energia. Il 91% di essa in sei regioni del Sud. Non poteva mancare, ovviamente, la Sicilia. Al secondo posto in termini di potenza (1828 MW), al terzo per numero di impianti (875) alle spalle di Basilicata e Puglia. Ma ci sono anche la Campania e la Sardegna nelle “magiche” sei. E proprio in Sardegna, nove anni fa, si scatenò la prima bufera sull’eolico, che si intrecciava coi piani della loggia P3 di Flavio Carboni (condannato, in primo grado, a sei anni e sei mesi di reclusione). La quale, oltre ad avere le mani in pasta per le nomine in magistratura e per la scelta dei candidati alle elezioni, cominciò a entrare nei palazzi che contano per ottenere le autorizzazioni che avrebbero permesso profitti facili, pressoché garantiti, nel settore dell’energia pulita. Che oggi rappresenta la nuova frontiera del business del malaffare.
Un settore in cui si incontrano, fino a sovrapporsi, le legittime ambizioni dei privati e quelle, meno legittime, delle cosche. O dei ricchi “mediatori” – come il professor Arata, giusto per rimanere in Sicilia – che si mettevano in mezzo, nella scomoda posizione dell’intermediario ammanicato con la politica, per offrire agli affari un palcoscenico ideale e una patina di legalità. La magistratura ha spazzato via anche quella. Parlare di eolico in Sicilia fa venire i brividi: sia alla luce dell’ultima inchiesta, che merita di essere sviscerata a fondo per capire un modus operandi in continua evoluzione; che del nuovo piano energetico che qualche giorno fa, prima che la bolla esplodesse, il governatore Nello Musumeci e l’assessore Alberto Pierobon (faceva parte, inconsapevolmente, della rete di Arata ma non è indagato), avevano annunciato in pompa magna: oltre 15 miliardi d’investimento nei prossimi 10 anni, con la prospettiva di garantire lavoro a una platea di quasi 500 mila persone. La solita proposta faraonica che si presta a mille letture: sostenibilità ambientale, potenziamento degli impianti già esistenti, riparazione di quelli vetusti e via discorrendo. Ma a chi andranno questi soldi? E’ una domanda lecita. Perché mala tempora currunt.
“L’eolico porta soldi ai grandi gruppi finanziari che non sono siciliani e inoltre deturpa il nostro territorio” ha detto in una intervista recente l’ex governatore siciliano Raffaele Lombardo, che per sé e per il suo governo ha rivendicato una netta contrapposizione a questo business. Ma non ne faremmo soltanto una questione di territorialità. Ci chiederemmo (anche) la natura di questi soldi. E come si fa a tenere lontano da certi ambienti i boss della mafia. Prendete Vito Nicastri, noto a tutti come il “re dell’eolico”. Una definizione che gli affibbiò niente meno che il Financial Times parecchi anni fa. Nonostante il nome, gli arresti (il primo negli anni ’90), la confisca da un miliardo, lui c’è ancora. Sotto mentite spoglie. Diretta emanazione della mafia di Castelvetrano. Di quel Messina Denaro che è ancora latitante anche grazie alle prebende che gli procurava l’amico Vito. Un pentito, Lorenzo Cimarosa, lo accusò di aver recapitato all’erede di Riina e Provenzano una borsa piena di soldi attraverso il suo tramite: Michele Gucciardi, altro uomo d’onore. Roba da deprimersi.
Nell’inchiesta partita da Palermo, che passa da Trapani, e che finisce a Roma, Nicastri avrebbe messo a disposizione le sue aziende, leader nel settore delle energie alternative, a disposizione degli affari sporchi di alcuni boss, fra Salemi e Vita. Ma non potendoci mettere la faccia – Nicastri ha subito sei anni fa una confisca da 1,3 miliardi di euro e si trovava ai domiciliari per concorso esterno in associazione mafiosa – mandava spesso in campo il “gregario” di lusso. L’insospettabile Paolo Arata, ex deputato che dal ’94 al ’96 era sceso in politica per farsi degli amici e imparare a memoria i corridoi dei palazzi buoni. E’ proprio Arata, che ha aiutato persino Matteo Salvini, in campagna elettorale, a scrivere il programma della Lega sulle energie alternative, a collegare Nicastri e il sottosegretario ai Trasporti Armando Siri, che secondo l’inchiesta avrebbe ottenuto la promessa di intascare una mazzetta da trentamila euro, solo per esercitare pressione su alcuni deputati e inserire nel Def – tuttora in corso di approvazione – un emendamento che favorisse Nicastri e i suoi affiliati, quello sul mini-eolico. Un passaggio non (materialmente) provato, e per cui Siri è già indagato, ma che ha di fatto mutilato la tenuta di un governo intero. Guarda un po’ che effetti queste pale.
Si parte dalla mafia e si arriva alla politica. E il giro non è neanche così tortuoso. Paolo Arata, dopo il suo breve incarico parlamentare, è sempre rimasto nel settore dell’energia rinnovabile. Il noto docente di Ecologia, infatti, è entrato di prepotenza in alcune aziende che si occupano di fotovoltaico e bio-metano. Facendo l’utile e il dilettevole. Arata, a causa delle difficili condizioni di Nicastri (i domiciliari, appunto) si presentava sotto il balcone del “re” per ricevere direttive e andare avanti nel piano criminoso. E assieme a Vito, e a una fitta rete di conoscenze che si era creato alla Regione Sicilia, era entrato in contatto con numerosi politici e con due assessori – Pierobon e Cordaro – che oggi dicono di aver “rimbalzato” senza colpo ferire le sue pretese assurde. Cosa chiedeva? Autorizzazioni, aiutini, spintarelle. A garantire a Nicastri i terreni in cui impiantare le pale ci pensava, ovviamente, la mafia. Del resto doveva occuparsi la politica. Più gli uffici, per la verità. Infatti, tra gli indagati di lusso, compare l’ex dirigente del dipartimento all’Energia, Alberto Tinnirello, per aver intascato una mazzetta in cambio di una firma.
Ciò che viene fuori dall’inchiesta sull’eolico, da Palermo a Roma, è il filo sottilissimo che separa mafia e politica. Talmente sottile da continuare a essere invisibile. Ma anche la grande capacità di rigenerarsi da parte dei gruppi criminali, l’eclettismo di personaggi poco specchiati, capaci anch’essi di reinventarsi in mille modi. Un operato perfido e senza scrupoli che mette a rischio qualsiasi operazione di sana imprenditoria, che finisce – spesso e volentieri – con l’ingolfare la macchina della giustizia e demolire quella dello Stato. “Lo Stato, anche in buona fede, convinto di fare qualcosa di giusto, finisce per favorire la mafia e il suo business se incentiva le pale eoliche” ha detto l’ex assessore regionale alla Cultura, Vittorio Sgarbi. Che non ha mai smesso di odiare le pale. E oggi gli girano pure: “Da parte della politica ci sarà pure l’intenzione di fare qualcosa di giusto – ha detto in una recente intervista -, ma la mafia non vede l’ora”. Da un lato un crimine, perpetuato, contro il paesaggio e gli imprenditori seri. Dall’altro l’esposizione della Sicilia. Il collegamento è banale. Ma trovare soluzioni non è mai stata la specialità della casa.