A Renato Schifani lo chiedono da prima di diventare presidente: chi farà parte della prossima giunta? E lui, il neo governatore, apre, cincischia, riflette. Ogni tanto qualche imbeccata – per lo più un avviso ai naviganti – poi ripara nel classico ‘tira e molla’, reso possibile (e utile) dai tempi di formazione della nuova giunta: secondo gli accorgimenti di legge più recenti, infatti, gli assessori dovranno giurare all’indomani dell’insediamento dell’Ars (come avviene, a Roma, per il Consiglio dei Ministri).
Un atteggiamento ondivago, ma assolutamente comprensibile, quello del presidente della Regione. Schifani ha di fronte partiti assetati di poltrone, ma soprattutto difficili equilibri da conservare. La scorsa legislatura ha azzerato la fiducia fra leader e sancito lo schema dell’uomo al comando, che dopo essersi affidato ai segretari per la composizione del primo esecutivo, raccogliendo nomi e desiderata sulle deleghe (Diventerà Bellissima s’era pappata la Sanità senza colpo ferire), ha completamente tralasciato i rapporti con gli alleati. L’unica cosa certa è che Schifani non potrà ricadere in questo peccatuccio, dal momento che è un esponente di Forza Italia: cioè il partito che ha fermamente condannato l’atteggiamento di Musumeci, costringendolo a esiliare al Senato.
Il 19 agosto scorso, quando la candidatura era maturata da una manciata di giorni, l’ex presidente di Palazzo Madama aveva fornito le prime indicazioni a Italpress: “Io farò di tutto per invitare gli alleati a indicarmi per le deleghe assessoriali persone competenti per materia”. Fornendo il primo identikit: “Non esiste l’assessore tuttologo, almeno con l’eventuale governo Schifani non ci sarà l’assessore tuttologo, che magari ha svolto un ruolo nella vita e poi si occupa di tutt’altro in giunta”. In quell’occasione, di fronte all’insistenza di certe voci che davano il Terzo Polo di Armao come possibile alleato in aula, per raggiungere i numeri utili a formare una maggioranza, Schifani si era sottratto: “Su Armao preferisco tacere, francamente sono rimasto molto deluso – spiegava -. Per cinque anni è stato con noi, non si è mai misurato sul consenso, ha svolto un ruolo all’interno del Governo Musumeci per cinque anni, con il sostegno del partito. Ha fatto le sue scelte”.
Passano i giorni e la domanda su chi farà parte della giunta diventa più insistente. Quando Micciché gioca a carte scoperte, chiedendo la delega alla Sanità (non tanto per sé, quanto per il suo partito), Schifani si irrigidisce e in un’intervista a Repubblica, del 4 settembre, prova a marcare il territorio in maniera ancora più incisiva: “La giunta? Me ne occuperò dal 25 settembre. Non potrò che rispettare i pesi politici di ciascun partito. Ma mi atterrò a una regola: no ai posti a tecnici privi di esperienza politica, sì alla politica della comprovata competenza. No agli assessori tuttologi. Potranno essere anche ex deputati, ma dovranno essere capaci”. Oltre alla competenza e alla militanza, subentra un nuovo prerequisito: in giunta non sono ammessi tecnici. Insomma: non ci ritroveremo mai più un Pierobon all’Energia (per citare il caso più recente, e meno noto); né uno Zichichi ai Beni culturali (per citare il più famoso).
Ma questo è il minimo. Bisogna spingersi oltre. Accade il 15 settembre, durante l’appuntamento clou della campagna elettorale. Partecipando a un convegno sulla sanità, organizzato da Razza a Catania (e al quale partecipa pure un Musumeci incarognito contro i vecchi alleati che l’hanno fatto fuori: “E’ banditismo politico”), Schifani si inceppa. Cade nella tentazione di baciare la pantofola al predecessore, non può fare altrimenti: “Sono orgoglioso di ereditare il vostro buon governo e non avrei mai accettato quest’incarico se non avessi avuto la certezza di trovare la condivisione interiore da parte del presidente Musumeci”. E ancora: “Proseguiremo l’azione del governo Musumeci anche nella sanità, settore in cui Razza ha fatto benissimo”. L’endorsement non scatta per un soffio: “Ti assicuro che quello che hai realizzato – disse Schifani rivolgendosi all’assessore alla Salute – sarà uno stimolo per chi dovrà occuparsi di Sanità nella futura giunta”. E con la promessa di convocare Razza a palazzo d’Orleans per alcuni consigli d’ordinanza (correggendo il tiro, fece riferimento a tutti gli assessori uscenti), scattò un complimento inatteso anche per Armao: “Non sono partigiano né fazioso: è stato un buon assessore al Bilancio”.
Certo, Armao non potrà tornare. Ha preso strade diverse. Ma sul resto è grosso enigma. Dentro i partiti tutti scalciano, e lo stesso Razza, dando un’occhiata ai social, non smette di elogiare il lavoro svolto in questi lunghi anni contraddistinti dalla pandemia. La giacchetta di Schifani si è già arricciata per le numerose strattonate, ma un paio di giorni fa, tra una puntatina ad Arcore e il trasloco, l’ennesima indiscrezione raccolta dall’Ansa: “Il presidente della Regione siciliana, Renato Schifani, sta lavorando per formare una giunta composta da politici eletti, tranne qualche singola eccezione per la peculiarità della materia legata alla delega”. Un concetto ribadito dallo stesso Schifani durante una visita alla Missione Speranza e Carità di Palermo. Proviamo a decifrare: in base alla delega – Economia? Sanità? Beni culturali? – si potrebbe ricorrere a figure tecniche gradite ai partiti. Purché non rappresentino la regola. Mentre sembra spacciata la platea dei ‘senza voti’, che bussa alla porta dei segretari – affollatissima quella del leghista Minardo – per essere paracadutati in giunta dopo il fallimento delle urne: la pre-condizione posta da Schifani sarebbe una barriera insormontabile per Stefania Prestigiacomo, Carmelo Pullara, ma anche Ciccio Cascio (se non dovesse subentrare a Micciché), oltre a Francesco Scoma e Toto Cordaro, che si sono presi un turno di riposo dalle urne.
Pure l’ex grillina Elena Pagana, nonostante gli sponsor di peso (il marito, l’ex governatore Musumeci, intellettuali e influencer di primissimo piano), sarebbe tagliata fuori dalla prossima squadra di governo: ieri il suo nome compariva su La Sicilia tra i candidati possibili a un incarico di governo, ma a Enna, in un collegio contesissimo, non è riuscita a insidiare i due candidati eletti (Venezia del Pd e Luisa Lantieri di Forza Italia). Tutto lo squadrone di Attiva Sicilia, che nel corso della seconda metà della scorsa legislatura è stata la stampella di Diventerà Bellissima e della maggioranza, è stato segato in tronco. Ripescarne qualcuno apparirebbe solo un’incitazione al trasformismo.
Gli incontri di Schifani: prima Forza Italia, poi FdI
Nel corso del primo incontro avvenuto lunedì col nuovo gruppo parlamentare di Forza Italia (presente anche Bernardette Grasso, che prenderà il posto di Tommaso Calderone, eletto alla Camera) Schifani ha ribadito di non volersi affidare a ‘esterni’. Perdono quota, così, le ipotesi Toti Amato e Daniela Faraoni per l’assessorato alla Sanità, mentre Ciccio Cascio (primo dei non eletti) attende di conoscere la decisione di Gianfranco Micciché, che potrebbe optare per il Senato e liberare un seggio (e di conseguenza, forse, anche il posto in giunta).