Velinari e pagnottisti – opportunamente istruiti dalle volpi argentate di Palazzo d’Orleans – fanno di tutto per assegnare allo scandalo di Cannes la dimensione di una piccola mela un po’ bacata: cose che succedono nella Sicilia irredimibile delle coppole storte, dove quattro picciotti, sbracati e arruffoni, volevano riempirsi gli occhi con femmine e cinematografo. Invece no. Man mano che si alzano i veli dell’affare viene fuori la verità: l’assessorato al Turismo è stato per tre anni – da quando Nello Musumeci ha silurato Sandro Pappalardo e ha messo al suo posto Manlio Messina, detto il Balilla – il bancomat per le operazioni più spregiudicate; per un gioco grande che partiva da Roma, attraversava la Sicilia, e arrivava pure in Lussemburgo. Le cifre parlano chiaro. Milioni di euro hanno allietato i bilanci di Mediaset, della Rai, di Urbano Cairo; ma ben altri fiumi di denaro pubblico sono finiti nelle casse, incontrollate e inaccessibili, di una società composta da tre dipendenti e con sede in un paradiso fiscale. Con la banalissima scusa di pubblicizzare il brand della Sicilia, Manlio Messina, conosciuto nel giro come “Mister Spendi e Spandi”, si inventava manifestazioni di ogni genere e qualità, occupava con faraonici programmi le centrali dello spettacolo – dall’Orchestra sinfonica al Brass al Bellini Festival – coinvolgeva amici e camerati, e attivava il bancomat. Quelli che lui programmava erano, ovviamente, eventi da pubblicizzare. E così partivano altri milioni per Mediaset, per la Rai, per l’impero di Urbano Cairo. Da un calcolo sommario, che la Corte dei Conti sta comunque passando a setaccio, sembra che nei tre anni del suo regno il rocambolesco assessore abbia impegnato e macinato qualcosa come 130 milioni di euro. Una festa continua.
Poi, quando ha creduto che i tempi fossero maturi, il Balilla ha deciso di fare il salto e raccogliere i frutti del suo impegno. I gerarchi romani, grati per tutto il lavoro svolto, gli hanno spalancato le porte della Camera dei Deputati. Ma restava in piedi un problema: a chi affidare l’assessorato al Turismo? Il presidente della Regione, Renato Schifani, voleva fare di testa sua: credeva, poveretto, di essere il padrone del vapore. Ma lo stato maggiore di Fratelli d’Italia – con in testa Francesco Lollobrigida, potente cognato di Giorgia Meloni – lo ha richiamato subito all’ordine e nottetempo gli ha intimato di assegnare il Turismo a Francesco Scarpinato, un maresciallo dell’esercito già trombato alle elezioni regionali. Schifani, come un don Abbondio alle prese coi Bravi, rispose di sì. E vissero tutti felici e contenti.
La favola nera che abbiamo sin qui raccontato illumina molti passaggi della politica; passaggi che fino a qualche mese fa non era facile decriptare. Le vicende venute a galla in questi ultimi giorni, ad esempio, spiegano perché il vertice di Fratelli d’Italia ha fatto fuoco e fiamme per riconfermare Nello Musumeci al vertice di Palazzo d’Orleans. E spiega anche perché l’ex governatore è stato comunque risarcito con un ministero vuoto ma pur sempre un ministero. Gli andava riconosciuto un merito incancellabile: avere silurato Pappalardo ed elevato al trono il Balilla. Non solo. La favola nera getta una luce sinistra anche su un vecchio episodio lanciato con un sorprendente e spropositato clamore da Livesicilia: “Trema la Palermo dei quartieri alti”, avvertiva il direttore di quel sito preannunciando uno scoop da fine del mondo con i toni alti dell’Apocalisse, versetto 19: “Le isole fuggirono e le montagne non si ritrovarono mai più”. Era successo che il Balilla aveva denunciato alla Procura della Repubblica una giovane musicista che gli chiedeva un finanziamento per tenere un concerto chissà dove. Lei, o chi per lei, aveva lasciato intravedere, con un whatsapp a metà tra l’ingenuità e la malizia, l’ipotesi che nel progetto potesse anche rientrare una “offerta” al partito dell’assessore. Apriti cielo. Il Balilla impugnò la bandiera del moralismo e montò una campagna di stampa che gli consentì di gonfiarsi il petto e di sbandierare ai quattro venti il proprio rigore e la propria incorruttibilità. Di incoronarsi, con gorgheggi tenorili, eroe della trasparenza e della legalità. Un colossale bluff. Uno dei tanti.