Se Maurizio Landini non fosse esistito, Giorgia Meloni l’avrebbe dovuto inventare. Il segretario generale della Cgil è come i suoi avversari desiderano dipingerlo: un politico radicale sotto mentite spoglie che lancia appelli incendiari, che organizza sovversioni, che complica l’esistenza (già complicata) alla gente comune. Lo sciopero generale di venerdì è stato accolto a destra con una “ola” di entusiasmo mascherato da ipocrita indignazione. Perfino le mezze figure si sono scatenate nella condanna di Landini a riprova che non attendevano altro per sviare l’attenzione dai cosiddetti problemi reali.

Al netto della propaganda, l’economia ristagna; il rigore nei conti pubblici è una strategia obbligata; Giancarlo Giorgetti non sa dove trovare i soldi per le promesse elettorali; dopo due anni di governo Meloni lo scontento serpeggia, come ha documentato Nando Pagnoncelli sul Corsera, con un netto calo di gradimento per i ministri e per la stessa premier. A deviare l’attenzione altrove, su un terreno più favorevole alla narrazione di maggioranza, ha provveduto Landini. Cosicché si discute adesso di “rivolta sociale”, di quanto sia irresponsabile averla evocata (Alessandro Sallusti ha tirato addirittura in ballo le Brigate Rosse), se sia giusto o meno consentire scioperi politici che la Costituzione non aveva previsto e, soprattutto, come difendere il popolo dei pendolari che con i mezzi pubblici fermi devono muoversi a piedi o in bici. Circola la falsa rappresentazione di un’Italia paralizzata, nelle mani irresponsabili dei sindacati, in cui la destra ovviamente sguazza: “Ci vorrebbe un po’ d’ordine, signora mia”, si risente in giro. Una regressione all’età della pietra. Continua su Huffington Post