Dalle parole di Nello Musumeci – le ultime sulla diga Trinità, nel Trapanese, dove è in atto una riduzione dei livelli idrici per questioni di sicurezza – sembra quasi che il ministro si sia teletrasportato nel tempo. Dal 2017, quando stava all’opposizione di Crocetta e ricopriva l’incarico di presidente della commissione regionale Antimafia, al 2022, quando Giorgia Meloni lo ha chiamato per un incarico all’interno del suo governo. Sembrava destinato a controllare le politiche di coesione territoriale, con la possibilità di monitorare e gestire i fondi derivanti dal Pnrr, e ambiva alla delega per il Mezzogiorno; alla fine s’è dovuto accontentare del Mare e della Protezione civile. Il punto, però, è un altro: cioè che Musumeci, nei cinque anni di vuoto, è stato governatore della Sicilia. Una terra che, dopo il suo addio, ha visto i problemi aggravarsi a tal punto da non poterli più contenere.
Prendete gli incendi, la siccità, la perdita dei fondi europei. Lo zampino di Musumeci è ovunque, anche se il diretto interessato, che ha appena compiuto 70 anni, non sembra rendersene conto. Interpellato qualche tempo fa sulla drammatica siccità che ha investito l’Isola, e che ha richiesto contromisure talmente urgenti da risultare “impossibili”, ha risposto così: “Non sono Superman, ma ho fatto quello che prima di me non è stato fatto. Sono contento di avere lasciato in Sicilia qualcosa in più rispetto a quello che ho trovato”. In realtà ha lasciato ben poco. Sarà lui stesso ad ammetterlo nel corso di un intervento a RaiNews 24: “Appena eletto ho chiesto se le dighe di pertinenza regionale fossero state collaudate, mi hanno detto di no. Ebbene, su 25 dighe 18 non erano state e non sono ancora mai state collaudate”. E nei cinque anni del suo governo, qualcuno ha mosso un dito?
Qualche giorno fa, rispondendo a un question time di Davide Faraone sulla diga Trinità, Musumeci ha spiegato che “il Concessionario e Gestore è la Regione Siciliana e che il Ministero delle Infrastrutture (Salvini, ndr) ha disposto la messa fuori esercizio dell’invaso, da attuarsi mediante la progressiva riduzione dei livelli idrici secondo modalità e precauzioni gestionali che restano nella responsabilità del Gestore dell’opera”. Nessun accenno, ovviamente, agli anni in cui regnava lui a Palazzo d’Orleans: quali modalità e precauzioni gestionali ha assunto il suo governo per evitare di giungere alla situazione attuale? La diminuzione dei volumi idrici nel Trapanese (fino alla dismissione della diga?) significa mandare progressivamente in rovina gli agricoltori del posto.
La dimenticanza, se non fosse talmente plateale da destare preoccupazione, farebbe sorridere. “Noi, che non siamo altrettanto smemorati come Musumeci – dice la deputata regionale del M5s, Cristina Ciminnisi – ricordiamo bene quando nel 2019 si dichiarò stupito delle condizioni delle nostre dighe, con problemi strutturali e limitazioni d’invaso”. All’epoca, Musumeci disse che in un anno, insieme al dirigente Salvol Cocina, oggi a capo della Cabina di regia regionale per la crisi idrica, stavano facendo per la messa in sicurezza delle dighe tutto ciò non era stato fatto nei precedenti 30. “Il risultato di quelle parole, lo vediamo in questi giorni – insiste la parlamentare -. L’Ufficio Dighe ha messo fuori esercizio la diga Trinità per gravi carenze infrastrutturali”.
Il Ministro si è difeso dalle accuse di inconcludenza, rivelando – già qualche settimana addietro – tutte le iniziative assunte in materia: “L’autorità di Bacino che è la banca, il cervello del sistema idrografico di un territorio, in Sicilia non esisteva nel 2018 quando sono arrivato io. Sono andato via (dalla Regione, ndr) due anni fa ma avevo intanto redatto il piano per la desertificazione, il piano contro l’erosione costiera della Sicilia, il piano per la lotta alla siccità e ho previsto gli interventi per pulire le dighe dalle sabbie e dai detriti”. “Prevedere” non significa “fare”, ma tant’è. Nei cinque anni al governo Musumeci & Co. non hanno riattivato un dissalatore, non hanno riparato una conduttura, non hanno riformato i Consorzi di bonifica (che persero altri 400 milioni di fondi Pnrr per inadeguatezza progettuale), a stento avranno ripulito la diga di qualche torrente. Una pochezza tale da far sbottare anche Schifani: “Abbiamo pianificato e avviato un vasto programma di interventi per rendere più efficiente il servizio idrico, opere che la Sicilia attende da troppo tempo e che incomprensibilmente non sono state avviate da chi ci ha preceduto”.
Altre mancanze sono risultate di difficile comprensione: l’immobilismo sugli incendi, che nell’estate di due anni fa hanno devastato l’Isola (l’ex governatore s’era limitato all’acquisto di un lotto di droni tarocchi, che non potevano volare con temperature superiori a 40 gradi); l’inerzia sulla sanità, giustificata dall’intervento in gamba tesa della pandemia; la “cessione” del turismo in mano ai patrioti di Fratelli d’Italia, che hanno utilizzato il portafogli dell’assessorato in maniera spesso dissennata; il fallimento sulla monnezza, dato che il piano rifiuti è risultato pieno zeppo di errori e l’idea di realizzare i termovalorizzatori in project financing (affidandoli ai privati) è abortita sul nascere. Musumeci non c’era, o se c’era dormiva. In realtà, a parte una riforma urbanistica appena “corretta” dall’Ars, l’ex governatore non ha fornito alla Sicilia delle leggi in grado di lasciare il segno. Più in generale, ha giocato in difesa, senza mettere un dito nell’acqua calda per la paura di scottarsi. Sembra che l’unica preoccupazione fosse quella di evitare grane giudiziarie. Ma per il resto ha perso tempo. O, come nel caso dei fondi europei, fatto danni.
Giusto un mese e mezzo fa, un’inchiesta de ‘La Sicilia’ ha rivelato che la Regione ha bruciato oltre un centinaio di milioni – a valere sul programma Fsc (fondo di sviluppo e coesione) – per il definanziamento da parte del Cipess di 45 progetti che andavano resi giuridicamente vincolanti entro il 31 dicembre 2022. Musumeci è rimasto in carica fino al 25 settembre di quell’anno, il governo Schifani arriverà quasi due mesi dopo (il 16 novembre) e pertanto non avrà modo di recuperarli. “L’attuale amministrazione ribadisce il proprio impegno a salvaguardare le risorse destinate alla crescita del territorio, nonostante le criticità ereditate, e a ottimizzare gli investimenti per assicurare benefici concreti e duraturi alla comunità siciliana”, scrisse Schifani puntando il dito sul predecessore. Che oggi, da “novello Don Chisciotte” (cit. Cateno De Luca), dà lezioni su tutto.