Che c’è di strano se applico alla politica regionale le categorie proprie del teatro, un genere del quale qualcosa ho capito dopo tanti anni di impegno nell’organizzazione di eventi di quel genere?
Ci sono volute parecchie settimane per scrivere il copione da mettere in scena all’inizio della nuova legislatura, dovendo cucire, tagliare, individuare gli attori giusti per interpretare le parti.
Si doveva imbastire una commedia dell’arte, ne è venuta fuori una dell’assurdo che sembra uscita dalla penna di Samuel Beckett.
La trama iniziale, quella immaginata e più volte sbandierata dal presidente della Regione, si snodava lungo alcuni punti essenziali, irrinunciabili, come si dice spesso poco prima di barattarli.
In modo poco cauto, alla stregua di una persona inesperta, che tale certamente non è, egli proclamò che gli assessori sarebbero stati scelti esclusivamente tra i deputati, avrebbero dovuto avere già conoscenza delle questioni da affrontare, che si sarebbe raccordato con i partiti della sua maggioranza forte e coesa e, tuttavia, non avrebbe mai accettato alcuna imposizione. Avrebbe esercitato in pieno le proprie prerogative e speso l’esperienza e il prestigio acquisiti nella lunga permanenza in ruoli rilevanti.
La sintonia con il governo di Roma era nelle cose ma non poteva trasformarsi in subordinazione, ché i siciliani hanno orgoglio e sanno farsi valere.
Era il copione di un’opera seria.
Alla fine la trama si è ingarbugliata, le regole della drammaturgia sono saltate, i dialoghi si sono svuotati di senso, la sequenza dei fatti ha finito per essere sconnessa.
Nei due palazzi del potere è stata così messa in scena appunto una commedia dell’assurdo, divertente nel senso etimologico di “volgersi altrove”, di andare a parare dove capita e non dove si è previsto di arrivare, di finire nel luogo in cui si è condotti dai proprietari del teatro, da quelli che mettono i soldi per produrre l’opera.
Così il presidente del Senato ha trovato la persona giusta per la guida dell’Assemblea, il “Cognato”, quello con la C maiuscola, insieme al nuovo ministro del mare ha scelto due degli assessori, una dei quali a ristoro del faticoso transito da una posizione all’altra e della sconfitta elettorale.
I franchi tiratori hanno individuato il vicepresidente vicario dell’Assemblea tra i deputati dell’opposizione.
Lo spettacolo è iniziato ed è già ricco di eventi. Altro che “Aspettando Godot”, che finisce per annoiare, privo di episodi interessanti e con “Godot” che non arriva mai.
Nel nostro teatro, sul palcoscenico e in sala i colpi di scena si susseguono eccome, e sono pure spassosi.
Puoi vedere una deputata che sta lì in Assemblea dopo un “plebiscito” di ben 25 voti.
Puoi incontrare gli eletti con Cateno De Luca distribuiti in due gruppi distinti per ottenere maggiori contributi, per marciare divisi e colpire uniti, per pattiare con più possibilità di successo.
Ci si imbatte nelle due forze di minoranza, impegnate allo spasimo in una guerra tra di loro, che alleggerisce le ambasce di chi governa, mettendole quasi entrambe al tappeto, di sicuro le priva delle capacità di incidere sulla politica isolana.
Vedi i deputati dello scudo crociato che non sono fantasmi che spuntano da un passato lontano, ma quelli eletti per l’intuito, l’impegno senza limiti di Totò e la fascinazione che continua ad esercitare un partito che ha cessato di vivere da quasi trent’anni, che non tornerà in vita, ma che ha lasciato memorie e rimpianti capaci di animare un tentativo sul quale nessuno avrebbe scommesso il famoso soldo.
Eppure quella Dc o simil Dc è arrivata alla pari del partito di “Capitan Fracassa”, che, dando asilo ai tanti padroni delle ferriere, immaginava di fare sfracelli.
Alla fine, trovi la perla di quella pièce dell’assurdo: Forza Italia 1 e Forza Italia 2, la incredibile divisione di un movimento che, essendosi identificato con il proprietario, è stato sempre uno.
Faranno “pace per Berlusconi”, dice Miccichè, e come tutte le paci sarà un breve interludio tra le guerre.
Alla fine scorgi proprio lui, Micciché, relegato in alto, su una seggiola scomoda del loggione.
Ha combattuto a lungo ed accanitamente una guerra che ha perduto, pur dopo aver vinto diverse battaglie.
Era riuscito a bloccare la ricandidatura di Musumeci e ora se lo trova ministro. Aveva subito Schifani candidato per la presidenza della Regione e lo aveva sostenuto. Aveva mantenuto i consensi del suo partito ad un livello molto più elevato della media nazionale e alla fine nessuno dei suoi amici è entrato nella giunta.
Gli si contesta persino il ruolo di coordinatore regionale dello stesso partito.
Micciché non ha parte rilevante nella commedia dell’assurdo della quale, peraltro, è stato uno dei principali autori. Appare sconfitto, ha i segni di chi è andato per suonare e le ha prese.
Ma da lì, dal loggione, rimane in grado di attirare su di sé l’attenzione degli spettatori in sala, di distrarli dal seguire chi recita sul palcoscenico e di oscurare i primi attori.
Che dovranno almeno fingere di governare la Regione.
Che dovranno almeno fingere perché, al di là delle attitudini alla politica e all’amministrazione delle forze di maggioranza e della opposizione, in questa terra resta poco da governare, da gestire, da amministrare, perché tutto frantumato, privo di risorse e di strumenti.
Si può giusto fingere di fare come nel teatro dell’assurdo.