Le parole chiave: deserto e suicidio. Deserto, inteso come partecipazione. Perché va bene il caldo, la domenica di fine giugno, il mare o i monti. E va bene anche che, da sempre, ai ballottaggi vota sempre meno gente rispetto al primo turno (il che, normalmente, aiuta la sinistra). Però quando vota un italiano su tre, anche l’astensionismo è un dato iper-politico, che certifica la sfiducia verso l’esercizio stesso della sovranità popolare, la sua utilità nell’Italia in cui si vota poco, e anche la scarsa capacità di coinvolgimento e mobilitazione dei partiti (in questo caso del centrodestra). Non è una novità, ma comunque le percentuali di partecipazione suggeriscono comunque grande prudenza nel considerare la tornata come un anticipo delle politiche. O come un test nazionale.
Suicidio è la parola tecnicamente corretta per raccontare la sconfitta del centrodestra che se possibile, nelle principali città al voto, ha sbagliato tutto, dimostrando che la coalizione a trazione populista ha un clamoroso problema di classe dirigente. Ed ha perso soprattutto perché avvitato in dinamiche da strapaese nelle principali città al voto, che della politica attestano solo la decadenza: a Verona, il caso più clamoroso, l’uscente di Fratelli d’Italia che rifiuta l’apparentamento con Tosi per questioni pregresse verso la di lui consorte (Bisinella), con i leader nazionali che nemmeno si presentano, capita l’aria; a Catanzaro il centrodestra sceglie un candidato che viene dal Pd (senza il sostegno di Meloni) e al secondo turno perde l’appoggio di un pezzo di Forza Italia per beghe di partito; a Parma, dove non funziona il ritorno di Vignali che, anche in quel caso non era sostenuto da tutta la coalizione. Continua su Huffington Post