L’unica voce a cui si aggrappa il governo siciliano è quella del presidente Nello Musumeci. Da un lato la polemica coi dipendenti regionali – attaccati, fatti rientrare in ufficio e lasciati senza ferie – dall’altro quella per i migranti, dove ogni giorno il ‘botta e risposta’ con il premier Conte e il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, assume toni sempre più aspri. Ma, al di là dell’esposizione mediatica di Musumeci, inflazionata dall’emergenza sanitaria, non può non notarsi il silenzio imbarazzato dei suoi assessori. Ad eccezione di pochi, rimasti impegnati e attivi, gli altri faticano a dimenarsi nell’incertezza. Come se l’avvento del Covid avesse congelato per sempre le buone intenzioni e costretto molti progetti a naufragare nel mare dell’attesa. Ma c’è il rischio, evidenziato da Saverio Romano, che molti abbiano demandato a Musumeci le proprie responsabilità, diventando semplici collaboratori.
La politica si fa coi “piccioli”, ma la Sicilia non ha un solo euro da spendere. E adesso, con la Finanziaria bloccata chissà per quanto, sembra evaporato pure il tempo delle promesse. Dall’approvazione del maggio scorso, quando la maggioranza si congratulava con se stessa per aver approntato la Finanziaria di guerra, la più cospicua di ogni epoca, sono passati tre mesi ma non un euro è stato speso. Neanche uno. Il governo della Regione è fermo a una delibera di riprogrammazione dei fondi comunitari (per circa 400 milioni), che dovrebbe consentire in tempi più o meno rapidi – ma è Bruxelles a doversi pronunciare – di acquistare un po’ di materiale per la Dad (la didattica a distanza nelle scuole), combattere la dispersione scolastica e garantire una prima fetta di aiuti (tramite l’Irfis e la Crias) alle famiglie e ai lavoratori. Ma di questo primo pacchetto fanno parte pure i 75 milioni che l’assessore regionale al Turismo, Manlio Messina, ha deciso di destinare agli operatori del comparto.
Una parte consistente sarebbe servita all’acquisto di voucher da “regalare” ai turisti in cambio di servizi: una notte gratis in hotel (ogni tre), un’escursione, un’immersione. Messina aveva promesso di pubblicare gli avvisi entro la prima settimana di luglio, ma per colpe non sue – chiaramente – siamo ancora all’anno zero. Col risultato che sull’estate stanno per scorrere i titoli di coda, e i visitatori non potranno disporre di nessun regalo. Messina, anche sui social, cerca di resistere al benaltrismo imperante. Ha spiegato che la “promozione” sarà valida fino a dicembre 2021 e che si attende solo l’ok dell’Europa. Ma il presupposto dell’emergenza, così, è venuto meno. Di quei 75 milioni, inoltre, la Regione avrebbe voluto utilizzarne 15 per proporre alle compagnie aeree di applicare una scontistica sui voli da e per la Sicilia. Al fine di favorire l’incremento turistico nell’Isola (che comunque, non sembra risentire più di tanto del Covid in questo primo scorcio estivo). Niente: è tutto fermo.
Anche l’assessore alle Attività produttive, Mimmo Turano, è un ottimista di natura. Poche settimane fa aveva annunciato una misura da 128,5 milioni per finanziare a fondo perduto le imprese con meno di dieci dipendenti e con un fatturato inferiore a 2 milioni l’anno. Tra cui le piccole ditte alberghiere. “Allo scopo di rendere disponibile la liquidità necessaria prioritariamente per la copertura di alcuni costi fissi (fitti e utenze) nonché per la riduzione di fatturato”. Anche stavolta un’idea niente male. Ma l’avviso potrebbe slittare a settembre: bisogna prima “scongelare” le risorse extraregionali individuate all’uopo dall’articolo 10 comma 16 della Legge di Stabilità. Soldi che non ci sono, o, nella migliore delle ipotesi, non si vedono. Si tratta di fondi Poc, a co-finanziamento statale, che per essere sbloccati attendono una ulteriore delibera di giunta (non fanno parte di quella recapitata a Bruxelles) e un passaggio dal dipartimento alla Coesione territoriale, a Roma, che dovrà dare il proprio parere al cambio di “destinazione d’uso” delle risorse.
Fra gli assessori che risultano smarriti di fronte all’impossibilità di usare soldi e mantenere le promesse, c’è ovviamente Antonio Scavone, responsabile del Lavoro e della Famiglia. Reduce da una mozione di censura dei Cinque Stelle (cui ha resistito) dopo il flop della cassa integrazione in deroga, anche lui si era spinto in avanti, annunciando 706 assunzioni entro il 2020 (ma ne erano previste 277 l’anno scorso) per potenziare i Centri per l’Impiego. Ma questi benedetti concorsi alla Regione non partono e Scavone, dall’approvazione della Finanziaria, non è riuscito neppure a far applicare un emendamento che prevede l’impiego nei Cpi degli ex sportellisti della Formazione, allo scopo di alleggerire la mole di lavoro cui sono sottoposti gli attuali operatori (già aiutati dai navigator). A proposito di concorsi, è ferma pure Bernadette Grasso, responsabile della funzione pubblica, che ha annunciato il primo bando, dal ’91, “per specifiche figure professionali di cui si ha esigenza”. Ne servirebbero migliaia, ma i posti in palio saranno pochissime decine.
Paga pegno pure Roberto Lagalla, assessore alla Formazione professionale, che in questi mesi di pandemia ha dovuto assistere inerme al blocco del suo settore: l’istruzione. Qualche giorno fa l’ex rettore ha dato un segnale, firmando il decreto che fissa le date del nuovo anno scolastico (al via il 14 settembre). Servirà a poco, pochissimo, se da Roma non arriveranno direttive certe sulla fruizione della didattica in presenza. La task force guidata da Elio Cardinale, che aveva stabilito alcune linee guida, rischia di contare il giusto. Stesso discorso per Alberto Pierobon, che non ha fatto passi avanti sul piano dei rifiuti, ancora fermo per l’aggiornamento-integrazione del rapporto ambientale, né per la riforma dei rifiuti, rispedita in commissione e sottoposta a una revisione completa. Cosa potrà mai dire l’assessore ai rifiuti in un’epoca di scandali?
Una certa dose di attivismo è riscontrabile nell’assessore all’Ambiente, Toto Cordaro, che oltre a portare avanti le politiche di risanamento del territorio (è stata approvata da poco la riforma urbanistica dopo 42 anni), cura i rapporti col parlamento siciliano, dopo le macerie lasciate da Musumeci nei suoi rapidi passaggi a Sala d’Ercole; mentre Marco Falcone, alle prese con una situazione deficitaria delle strade siciliane, ha guadagnato una discreta dose di visibilità grazie ai duetti un po’ stucchevoli con il Movimento 5 Stelle: per determinare meriti e gettare discredito (a turno: su Anas e Cas). Perdendo di vista – ma è chiara la strategia di “rottura” del governo – lo scopo: la collaborazione istituzionale con Roma, l’unica in grado di poter sbloccare l’impasse delle opere pubbliche siciliane. Quando è difficile mantenere le promesse, meglio buttarla in caciara.
Come ha sempre fatto l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, che si è specializzato nel rimpallo delle responsabilità. Il più classico scaricabarile. E’ tutta colpa del governo centrale, secondo il vicegovernatore, se la Sicilia ha le strade azzoppate e i conti in disordine; se non ci riconoscono l’autonomia finanziaria, la fiscalità di vantaggio o la continuità territoriale; se ci impongono delle “cure da cavallo”, che non avrebbero – giammai – l’obiettivo di un’attenta razionalizzazione della spesa, bensì di spremerci fino all’osso. E’ colpa di Conte e della sinistra se la Sicilia non ha più un euro da investire e se, ogni anno, ci tocca il pesante “balzello” del contributo alla finanza pubblica (quest’anno, con una ingente sforbiciata da 780 milioni); e di Crocetta se il disavanzo della Regione si è talmente dilatato da richiedere una spalmatura in trent’anni (o in dieci).
In parte l’assessore ha ragione. Ma in questi due anni e mezzo di gestione malandata – è stata la Corte dei Conti ad appurarlo con l’ultimo giudizio di parifica – non c’è stata una sola ammissione di responsabilità. Non una parola, al di là di quelle di facciata sui negoziati in corso, per spiegare ai siciliani come avverrà la riprogrammazione delle risorse extraregionali, vero combustibile dell’ultima Finanziaria. Non un solo accenno ai recenti errori contabili, che prima delle ferie hanno costretto l’Ars a una variazione di Bilancio da 50 milioni. Il governo della Regione, piuttosto, propala dati e interventi di ordinaria amministrazione (vedasi relazione di metà mandato di Musumeci), spacciandoli per miracoli. Senza soldi non ci restano neppure le promesse. L’unica strada è il silenzio.