Pare impossibile schiodarsi da Firenze, in questi anni di vicissitudini governative, perché gira che ti rigira a Palazzo Chigi arrivano fiorentini, veri e d’adozione. Come Alfonso Bonafede, sponsor di Giuseppe Conte, deputato, avvocato no-Tav, che a Firenze sbarcò negli anni Novanta dalla Sicilia per studiare Giurisprudenza (è stato, per l’appunto, cultore della materia in Diritto privato, la cattedra di Conte). Dicono che farà il ministro della Giustizia del nascente governo Lega-Cinque stelle, vedremo. Intanto s’è ritagliato un ruolo da protagonista nell’Italia che regala quarti d’ora di celebrità a chiunque; piace a Luigi Di Maio e a Beppe Grillo (di cui, dicono, ha seguito anche qualche vicenda legale); ha prestato assistenza sociale alla sindaca Virginia Raggi.
Ma questo è quello che ha fatto quando è arrivato a Roma. C’è naturalmente un prima, quando faceva il pr alla vecchia e ormai scomparsa discoteca fiorentina Meccanò – ricordano i frequentatori del Meetup toscano – e quando si candidò a Firenze contro Matteo Renzi alle amministrative del 2009 con la lista dei Cinque stelle. Non finì bene: Bonafede prese appena l’1,8 per cento. Pochini. Così come pochine furono le preferenze con cui vinse le parlamentarie del 2013: 227. Furono sufficienti però a diventare deputato della Repubblica. “Ho 33 anni, da 15 vivo a Firenze, sono avvocato, assistente di diritto privato all’Università fiorentina, dottorando a Pisa. Questo perché qualcuno pensa che siamo tutti rivoluzionari che vogliono rompere le palle”. Così si presentava al Corriere Fiorentino, che lo intervistò nel 2009 per le amministrative. “La Pira diceva ‘nessuno dica che la politica è una cosa brutta’, e anche lui era siciliano e laureato in Giurisprudenza a Firenze”, spiegò Bonafede. “Aveva ragione: noi non abbiamo mai criticato la politica, abbiamo sempre criticato i politici che ci sono ora, quelli che hanno rovinato ogni concetto di politica, di destra, di sinistra”.
Insomma, Bonafede sperava di imitare davvero La Pira, siciliano, cattolico, giurista e docente a Giurisprudenza, che di Firenze fu sindaco negli anni Cinquanta e Sessanta, ma mal gliene incolse. E dire che le proposte bonafediane erano mirabolanti: portare il Grande Fratello in Consiglio comunale. Si presentava già da tempo, infatti, con una webcam per filmare le sedute del Consiglio. Era la prima fase del grillismo, quando non c’erano ancora i videomaker professionisti e si piazzavano le telecamere per dirette streaming al servizio del cittadino-consumatore. Alla fine poi lo streaming è sparito, come molte altre cose. Ogni tanto invece riaffiora l’anima no-Tav del Bonafede. D’altronde, la sua constituency elettorale e professionale è formata dai comitati contro Tav e inceneritori. Dove c’è da dire no, spunta lui, con il suo accento siculo (è originario di Mazara del Vallo) non risciacquato in Arno. Dei comitati fiorentini, accozzaglia No-qualcosa, è stato sostenitore e difensore e recentemente ha ribadito che “il nostro programma resta quello di rivedere tutte le grandi opere pubbliche inutili. Anche quelle già decise”. Confindustria, che pure era stata rassicurata dallo stesso Luigi Di Maio, non ha gradito e l’ha fatto presente.
Bonafede non sarà pure il rivoluzionario che vuole “rompere le palle” – e in effetti si vede: è troppo felpato per maneggiare molotov, preferisce la mediazione, non a caso nel M5s a Firenze gli hanno spesso dato del democristiano, non sempre come complimento – ma l’aspirante ministro della Giustizia appartiene in pieno al coté qualunquista a Cinque stelle, che dice di voler andare oltre la destra e oltre la sinistra, che fa dell’antipartitismo una sua cifra. Lo notava già, in anticipo di qualche decennio, Augusto Del Noce nel suo “L’Epoca della secolarizzazione”: “L’‘io voglio’ indeterminato: il diritto di potere che ha la giovinezza in quanto rappresenta la vita; il momento dialettico cercato nella giovinezza e nella generazione anziché nella classe; la pretesa di andare oltre, in posizione rivoluzionaria, alla borghesia e al comunismo; l’idea di una rivoluzione che parta dagli studenti; il negativismo e l’attivismo (ricordiamoci che il fascismo si presentò inizialmente come antipartito); l’antintellettualismo come avversione alla cultura libresca; il mito del nuovo a ogni costo”.
Perfetta descrizione dei tempi che corrono, a metà fra “uno vale uno” e il “decennio dell’Io” (Tom Wolfe), di cui Bonafede è alfiere insieme agli altri Cinque stelle, orgogliosi sostenitori di un Panopticon securitario. Al deputato-avvocato forse ministro infatti piacciono gli inasprimenti di pena, contro “evasori” e “corruttori”. Tutto, insomma, perché gli “avvocati del popolo” abbiano da lavorare parecchio.