Un pericolo incombe sul Massimo

Il sovrintendente Marco Betta

Verrebbe da dire: viva gli uffici stampa. I quali tappano buchi, nascondono inadempienze, occultano peccatucci veniali e anche mortali di enti, partecipate, aziende pubbliche e anche teatri. Prendete l’aeroporto di Palermo, tanto decantato al tempo di Vito Riggio e ridotto a un colabrodo da una bufera di pioggia, certamente inclemente ma non devastante. I passeggeri del volo Ryanair proveniente ieri pomeriggio da Milano Malpensa sono rimasti prigionieri della cabina per oltre mezz’ora perché non si trovava il personale incaricato di piazzare la scaletta sotto l’aeromobile. Oppure prendete il Teatro Massimo gestito fino a un mese fa da Marco Betta, il cui incarico di sovrintendente è già scaduto. Si sono viste opere liriche meravigliose, si sono ascoltati concerti indimenticabili, si sono esibiti ballerini (ma chiamateli tersicorei, altrimenti si offendono) di soave leggerezza, hanno cantato tenori e baritoni di fama internazionale, ma non è tutto oro quello che luce. L’ufficio stampa avvolge tutto in una nuvola di paradiso, ma se provate a grattare la crosta ci trovate dentro privilegi che nemmeno al tempo del Gran Visir dell’impero ottomano. Tutto l’ambaradan, con quattrocento dipendenti, viene praticamente retto da consulenti esterni che servono contemporaneamente due o tre padroni, due o tre teatri. Preziosi ma inafferrabili. Ben pagati ma evanescenti. Soprattutto in questo periodo in cui il sovrintendente è in attesa di riconferma e tutte le decisioni, anche quelle artisticamente più rilevanti, vengono prese dal direttore amministrativo, Ettore Artioli che è indubbiamente un bravo imprenditore ma le sue esperienze vanno dall’Amat – erano i tempi di Leoluca Orlando – alla gestione di un supermercato.

Diciamolo: della stagione di Francesco Giambrone – il predecessore di Betta che ha scelto di lasciare Palermo e di andare all’Opera di Roma – resta ben poco. Con Giambrone il Teatro Massimo faceva il Massimo: riusciva a differenziarsi rispetto agli altri enti lirici e a scavalcare l’ordinaria amministrazione. Tra le altre cose Giambrone aprì il teatro alle nuove tecnologie. Si inventò la Web Opera: gli spettacoli venivano ripresi da telecamere professionali e distribuiti a network come SkY o Arté che li portavano fino al Nuovo Mondo, oltre che nelle case di chi voleva e poteva collegarsi in streaming. Fu un’intuizione geniale, che procurò al Teatro Massimo pagine di apprezzamento persino dal New York Times. Betta – che, per carità, resta comunque un compositore di spessore internazionale – non ha retto il passo e la Web Opera è stata cancellata. Un vulnus che gli uffici stampa hanno adeguatamente silenziato: è il loro mestiere. Ma l’andazzo delle cose non lascia ben sperare. Perché il Massimo o stupisce, come succedeva al tempo di Giambrone, oppure rischia di diventare un duplicato, magari un poco più pomposo, dell’Orchestra Sinfonica. Insomma, una preda per pagnottisti e cortigiani della politica in cerca di un palcoscenico sul quale esibire la loro ambizione e il loro potere. Ci riflettano i meditabondi amministratori di Palermo – da Roberto Lagalla a Giampiero Cannella – che oggi saranno impegnati, si fa per dire, negli altisonanti “stati generali della cultura”, ospitati – guarda caso – proprio nella sala grande del Teatro Massimo.

Giuseppe Maria Del Basto :

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