Le 121 mila preferenze ottenute l’8 e il 9 giugno da Edy Tamajo non l’hanno cambiato di una virgola e non hanno inciso – pare – sulla vena espansionistica di Mr. Preferenze: che resta al suo posto dentro il partito e anche in giunta (per occuparsi di Attività produttive). Pensate un po’, non andrà neppure a Bruxelles pur di garantire a Caterina Chinnici la sua terza legislatura, con annesso vitalizio. Nonostante una campagna dispendiosa e un risultato da record, il ragazzo è rimasto umile.
Cosa che non accade al suo maestro. Renato Schifani, dal giorno dopo le elezioni, appare sempre più tronfio e accentratore. Come se i voti di Tamajo fossero i suoi (macché). Compare al fianco di Tajani, ministro e segretario di Forza Italia; si prende il merito di aver contribuito – col risultato siciliano – al raggiungimento del 10 per cento (o quasi) a livello nazionale; si assume la paternità di un esperimento, quello del partito “inclusivo”, che lo stesso Tajani aveva rinnegato (chiedere a Cuffaro per maggiori informazioni); e non da ultimo, comincia a distribuire patenti d’agibilità ai suoi assessori, ritenendoli gli unici colpevoli se qualcosa non funziona, come nel caso delle mancate autorizzazioni per la discarica di Lentini.
Nella sua intervista di ieri al Giornale di Sicilia, però, Schifani ha omesso un passaggio: quello relativo alla Sanità. L’assessore Volo non compare fra i “cattivi” (alla stregua di Di Mauro, Pagana e Turano), anzi non compare affatto. Una strategia che appare propedeutica alle decisioni sul rimpasto che verranno assunte entro la metà di luglio (così dice). Se volessimo tradurla in gergo calcistico, e applicarla al mestiere dell’allenatore, il titolo è fatto: la Volo non si tocca. Resta in panchina al di là dei propri demeriti e di un immobilismo comprovato. Non ha risolto le incomprensioni coi privati convenzionati (anzi li ha accusati di pensare soltanto al denaro); non ha dato seguito alle voci di riforma del sistema sanitario; non è riuscita a compensare le assurde carenze d’organico negli ospedali; né a risolvere il problema atavico delle liste d’attesa, per il quale a pagare (entro un anno dall’insediamento) potrebbero essere i manager delle Asp.
Non c’è una sola missione portata a termine, e molte interrogazioni parlamentari giacciono senza risposta. Eppure la Volo – suggerita da Elio Adelfio Cardinale, che ieri Schifani ha designato componente del Consiglio d’Amministrazione della Svimez – non rientra nei giudizi di merito del governatore. E’ esente da pagelle, critiche e avvertimenti. Metterla in discussione significherebbe rimettere in gioco Tamajo, che alla casella di piazza Ziino, in maniera non troppo velata, sperava eccome. Sarebbe stato un riconoscimento verso le centinaia di migliaia di elettori che l’hanno scelto; un premio al suo operato; una legittimazione di potere. Ma Schifani ha ritenuto più opportuno rimandare il momento e fargli completare la gavetta. Tenendolo a bagnomaria finché può.
Eppure, dall’alto del suo scranno, il presidente continua a impartire lezioni e punizioni. Decide chi salvare e chi mettere all’indice: tra questi, senza troppi giri di parole, Roberto Di Mauro ed Elena Pagana, coi quali non si è mai preso dall’inizio. Sarebbero loro – assessori di Fratelli d’Italia ed Mpa – gli “artefici” della chiusura della discarica della Sicula Trasporti, determinata da un giudice per l’assenza delle necessarie autorizzazioni (mancava la Via, la Valutazione d’impatto ambientale). “Nessuno mi ha mai preventivamente informato” su ciò che stava per succedere, ha detto Schifani. L’ennesima caduta dal pero. Compensata dallo scaricabarile. Il governatore infatti ha denunciato la “totale assenza di coesione nell’azione di governo. Ho dovuto impegnare tutto il mio staff per risolvere il problema”. Risolvere è un parolone, “tamponare” semmai.
In questo rito da primo della classe, rientrano le accuse ai burocrati (“A febbraio, quando scadranno i contratti, non intendo rinnovare molti dei vertici”) e ai predecessori (“Ho trovato una Regione dove da più di vent’anni nessuno si occupa della manutenzione delle dighe e del loro completamento”); e gli avvertimenti ai potenziali competitor interni. A partire da Cuffaro e Lombardo, che con la loro presenza hanno spinto la lista verso vette inimmaginabili, ma a quanto pare non godranno di alcuna speciale riconoscenza: “Dc ed Mpa – avverte Schifani – manterranno all’interno del governo regionale gli spazi determinati dall’esito delle elezioni regionali del 2022”. Quando si parla dell’ex europarlamentare Giovanni La Via al posto di Falcone al Bilancio, il presidente cade dalla sedia: “La mia scelta sarà libera e autonoma. E non potrà che ricadere su una figura di comprovata esperienza nel settore economico e conoscitrice dei conti della Regione”. Tutto lasciava pensare a Gaetano Armao, che Schifani però esclude. Ma non potrà che essere lui – il consulente per le questioni extraregionali nonché presidente della Commissione tecnico-specialistica ambientale – a suggerire il perfetto interprete per quel ruolo (un altro re Travicello). Ciò significherebbe scontentare la corrente di FI che fa capo a Falcone, che ha già pagato il prezzo del depotenziamento optando per l’Europa.
Il rimpasto non è ancora cominciato, ma ha preso una pessima piega. Con alcuni assessori scaricati su pubblica piazza – c’è il solito Turano, che la Lega non vorrebbe mollare – e altri, come Sammartino, che attendono l’esito delle proprie vicende giudiziarie per tornare in campo. E lui, Schifani, che vorrebbe far credere di avere tutto in mano, e di voler conquistare il mondo come il Mignolo col Prof., salvo accorgersi che non va bene niente. A quel punto l’accentratore decide che è meglio delegare. Non le azioni, ma le colpe.