Hanno scelto i manager fuori tempo massimo e, per di più, affidandosi a indicazioni di “merito” (dei partiti) che, talvolta, si sono rivelate nefaste. Qualcuno, come il direttore del “Civico” Walter Messina, dovrà spiegare perché un medico reclutato per fare il primario nella nuova Cardiochirurgia pediatrica (in convenzione con il gruppo San Donato) sia stato arruolato nonostante la radiazione da parte della sanità britannica con l’accusa di molestie. Eppure, oggi, i sedicenti rappresentanti del governo regionale – immemori dei mesi trascorsi a lottizzare la sanità – si ergono a censori. A garanti delle regole. A fustigatori inflessibili. Renato Schifani, dopo aver “minacciato” con la revoca i direttori generali (in caso di mancato rispetto di alcuni obiettivi), ha puntato dritto contro i direttori sanitari e amministrativi, la cui nomina è giunta soltanto ieri (con l’eccezione di Siracusa e Agrigento), dopo un’infinita trattativa fra i capibastone della politica.
Non si erano neppure insediati nelle posizioni di vertice, che Schifani li ha messi sul chi va là: “Se le Asp, gli ospedali e i Policlinici siciliani non raggiungeranno gli obiettivi assegnati dal mio governo, soprattutto per quanto riguarda l’abbattimento delle liste d’attesa, insieme ai manager delle Aziende decadranno automaticamente anche i direttori amministrativi e sanitari, le cui nomine si stanno completando in queste ore”. Una dichiarazione di guerra al posto dell’usuale comitato d’accoglienza, che basta, però, per distogliere l’attenzione dal metodo utilizzato in fase di selezione. Ha voglia l’assessore Volo a sostenere che i direttori generali godono di “totale autonomia” nella scelta della governance. Non è mai stato così e, forse, non lo sarà mai. Tutte, ma proprio tutte le nomine, sono arrivate in zona Cesarini – dopo una prima indicazione perentoria di 15 giorni, superata da una direttiva che indicava la deadline del 2 settembre – a causa del difficile compromesso fra i partiti di centrodestra. Nello strattonamento generale, pare che solo Lombardo sia uscito danneggiato (o comunque meno rafforzato degli altri) a causa delle proprie posizioni nei confronti di Schifani e per l’ingaggio di Gianfranco Micciché nel Mpa: andava punito…
Gli altri, da Tamajo a Galvagno, sono tutti trionfatori di questa sciagurata spartizione che solo nelle ultime ore, quando persino i bambini dell’asilo avevano capito il trucchetto, ha indignato le opposizioni: “Sulle nomine della sanità stiamo assistendo ad uno squallido valzer da parte del governo regionale e del presidente Schifani, mentre la gente fa la coda negli ospedali”, è stato il commento a freddo del capogruppo del Pd all’Ars, Michele Catanzaro. Non serve a nulla. Per rispettare i tempi dei partiti di maggioranza, Schifani ha consentito che la nomina dei direttori generali slittasse al 31 gennaio – dopo quasi cinque mesi di commissariamento dei vertici aziendali – e che quella dei direttori sanitari e amministrativi fosse ratificata, addirittura, dopo l’estate, perdendo quasi un anno di tempo, nel complesso, prima di avere le squadre al completo.
L’orologio del presidente s’è fermato, per mesi, nonostante la criticità ataviche della sanità siciliana, a partire dalla carenza dei medici. E nonostante il “conto” presentato da alcuni casi spinosi: dal degrado dell’ospedale dei Bambini segnalato da una mamma a Repubblica, passando per il cartone utilizzato al posto del gesso all’ospedale di Patti per immobilizzare una frattura. Schifani ha atteso pazientemente che la maggioranza si mettesse d’accordo sui nomi, poi ha avuto l’ardire di pronunciare parole di fuoco per sollecitare i manager – già: i manager, non i partiti – a chiudere le operazioni nei tempi stabiliti. E infine ha pubblicato l’editto per impegnare tutti quanti a seguire gli obiettivi sanciti dal suo governo: anche i contratti di direttori sanitari e amministrativi dovranno contenere obiettivi specifici e concreti specialmente sulla riduzione delle liste d’attesa, con un monitoraggio trimestrale e una “rigorosissima verifica annuale” del raggiungimento degli stessi, a pena di decadenza automatica, anche solo dopo il primo anno dall’insediamento.
Il rigore vale sempre con gli altri, mai con se stessi o con quelli del proprio “cerchio magico”. Oggi il governatore si erge a paladino dalla sanità pubblica, ma dov’era nei mesi scorsi, quando nei “retrobottega” si discuteva della spartizione a tavolino di ruoli e incarichi, rallentando la pianificazione degli obiettivi? O di fronte ai ritardi atavici di alcune Asp, come quella di Palermo, che a settembre non ha ancora stabilito il budget da assegnare per il 2024 alle strutture private convenzionate (che pertanto erogano le prestazioni in dodicesimi, tenendo conto della programmazione dello scorso anno)? Solo in questi giorni la “sempreverde” Daniela Faraoni sta liquidando le fatture del 2019, per prestazioni erogate in extrabudget, a causa di alcuni decreti ingiuntivi piombati sulla sua scrivania. E’ stata mai sollecitata dal presidente della Regione a non chiudere i rubinetti nei confronti dei laboratori analisi accreditati e di andare avanti, almeno, con la ordinaria amministrazione?
Al netto delle sfuriate tardive, utili ad acquisire punti nei confronti della stampa credulona e dell’opinione pubblica poco informata, cos’ha fatto Schifani per la sanità siciliana? L’unico provvedimento è aver collocato a piazza Ottavio Ziino un cartonato, quello dell’assessore Giovanna Volo, e di non averlo mai sostituito – per evitare che qualcun altro potesse assumere il controllo della sanità – nonostante le insicurezze e le inadempienze (ingiustificabili per la delicatezza del ruolo); e di aver rispettato, talvolta orientato, le decisioni dei partiti sull’assegnazione dei ruoli apicali nelle Asp e negli ospedali, così da garantirsi soldati – ricordate la definizione di Lombardo su “yesman” e “yeswomen” – pronti a dire sempre di sì e sostenere l’operato del governo.
“Ritengo doveroso che i vertici delle Aziende sanitarie, nel loro complesso, si assumano pienamente la responsabilità di garantire ai pazienti un accesso tempestivo alle cure e per questo devono essere sottoposti alle necessarie e rigorose verifiche dei loro obiettivi – ha detto l’ultimo Schifani -. Se non li raggiungeranno, andranno tutti a casa, ancor prima della scadenza del loro mandato”. Chi li ha scelti, invece, è al riparo da possibili conseguenze. L’orologio del rigore si è rimesso in funzione solo adesso.