Il reuccio di Fratelli d’Italia

Il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera dei Deputati ed ex assessore regionale al Turismo, Manlio Messina

Eravamo rimasti con Fratelli d’Italia che minacciava una crisi di governo, a seguito della bocciatura (col voto segreto) della norma “salva ineleggibili” che avrebbe blindato il seggio a tre deputati patrioti dell’Ars; ci ritroviamo, poco più di un mese dopo, con lo stesso numero di deputati (l’ex sindaco di Custonaci, Giuseppe Bica, è subentrato a Nicola Catania) e un partito guidato da un leader occulto, cui spetterà l’incombenza di decidere sulle candidature per le prossime Europee. Di crisi, ovviamente, non s’è più parlato: per via della Scrofa sarebbe diventato una patata bollente difficilissima da gestire in campagna elettorale.

Il destino di FdI in Sicilia passa dal ciuffo ribelle di Manlio Messina, che dall’alto del suo scranno a Montecitorio usa il linguaggio della propaganda per denunciare i “gufi della sinistra” e “i metodi da URSS” utilizzati da Pd e Cinque Stelle per organizzare il dossieraggio mirato contro i politici di centrodestra. La sua bacheca è piena di apparizioni televisive. Non c’è giornalista che non si rivolga a Messina per chiedere un commento sul Pnrr, sulle elezioni in Sardegna, sull’affollamento delle carceri, sull’operato della Polizia. Il capogruppo di FdI alla Camera dei Deputati è diventato l’ombelico della politica siciliana: si è edulcorato (è da un po’ che non si leggono parolacce) anche se i metodi rimangono gli stessi di sempre. La gestione “militare” di FdI è storia nota: non decidono i coordinatori regionali per la Sicilia orientale e occidentale (semmai organizzano qualche tavola rotonda), bensì la frangia turistica di cui Messina e il ministro Lollobrigida sono i principali esponenti.

Dopo aver ottenuto la nomina di due assessori calati dall’alto (o dal nulla, dipende), sperano di poter trascinare Scarpinato in Senato. Il calcolo, svelato qualche giorno fa da un articolo de ‘La Sicilia’, prevedeva la candidatura di Salvo Pogliese alle Europee: in caso di elezione si sarebbe dimesso da Palazzo Madama per lasciare il posto all’assessore regionale ai Beni culturali (che ha già guidato il Turismo con scarsissime fortune). Un’operazione che avrebbe liberato Schifani di una zavorra – sono più le volte che hanno litigato che non le foto insieme – e aperto una posizione lavorativa per qualche altro adepto. Possibilmente senza voti. La prospettiva però s’è scontrata con la realtà: ossia la rinuncia dell’ex sindaco di Catania, che attualmente non avrebbe intenzione di tornare in Europa né di concedere favori al vero dominus del partito.

Pogliese, lo dicono tutti, ha i voti ma non l’autorità per imporsi. E’ stato costretto a dimettersi da sindaco a causa di un procedimento giudiziario in corso (per peculato) da cui è stato fiaccato inesorabilmente. E ora fatica a resistere all’avanzata dalla corrente turistica, che si ramificando in maniera sempre più profonda. A prendere ordini da Roma non sono soltanto i due coordinatori – l’altro è il mite Cannella – ma anche il presidente dell’Assemblea regionale, Gaetano Galvagno, che ha capito da che parte tira il vento. Mente politica sopraffina, a dispetto dell’età, l’allievo di La Russa è sempre più schiacciato su Messina, con il quale starebbe perorando la causa di Ruggero Razza alle prossime Europee. Ma la sintonia è talmente profonda da diventare coesione su numerosi aspetti della vita politica siciliana, presenti e futuri. Per la serie: mamma comanda, picciotto va e fa.

Galvagno, che all’inizio del suo mandato s’era mostrato rigoroso sulle regole, ha trascinato in aula un paio di norme – non solo la “salva ineleggibili” ma anche la reintroduzione del voto diretto delle province – che in caso di approvazione, e di successiva impugnativa, avrebbero avuto serie ripercussioni sulla credibilità sua e dell’Assemblea. Dovrebbe invece arrivare uno stralcio per l’altro emendamento della discordia, che prevede di estendere gli effetti della sanatoria sugli immobili costruiti a meno di 150 metri dal mare (purché prima dell’ottobre ’83). La partita, però, non si gioca soltanto sulle leggi, ma anche sul feeling, sulla condivisione di candidati e strategie, sulle prospettive da qui ai prossimi tre anni e mezzo: Galvagno potrebbe essere il futuro candidato alla presidenza della Regione e il sostegno di Messina – ancor più di quello del Presidente del Senato – gli tornerà utile per garantirsi la nomination (detto che FdI non si spenderà un minuto in più per difendere Schifani).

Un discorso che ci permette di tornare al punto di partenza: ossia le Europee. Musumeci, in questo inner circle di potere, è sempre il benvenuto. E’ stato lui ad assegnare a Messina l’assessorato al Turismo e ad includerlo nel suo cerchio magico, nonostante le opacità che hanno contrassegnato parecchie delle iniziative condotte in questi anni in via Notarbartolo: a cominciare dall’esperienza di Cannes, affidata senza bando a una strana società lussemburghese priva del certificato antimafia; così come il programma SeeSicily, fallimentare sotto ogni aspetto tranne che sulla “comunicazione” (che ha richiesto un investimento di oltre 24 milioni). Operazioni che ancora oggi registrano più di un alone, ma che tuttavia riscontrano la totale indifferenza da parte dei protagonisti. Sia Musumeci che Messina non finiranno mai di elogiare quella stagione, onerosa e clientelare, che ha riportato la Sicilia al centro dei flussi turistici e ha consentito a loro due di prendersi la scena nazionale.

Il Ministro della Protezione civile non ha più alcuna velleità nell’Isola, visti i cattivi rapporti con Schifani; ma ha tutto l’interesse di instradare il delfino Ruggero Razza verso Strasburgo. In una corsa che sia Messina che Galvagno sono pronti a sostenere. Loro sono i “forti”, i leader di tendenza, e non c’è alcuna ragione per cui la massa non debba seguirli; poi ci sono i deboli e gli epurati, come Pogliese e Stancanelli. Quest’ultimo, che aveva chiesto al partito l’opportunità di ricandidarsi, non è stato neppure avvertito del rifiuto. Infine ci sono le controfigure: come i palermitani Carolina Varchi e Giampiero Cannella, che giocano a scambiarsi le figurine al Comune (l’uno è subentrato all’altra nel ruolo di vicesindaco), e che tuttavia non riescono a ripristinare un giusto bilanciamento fra le prerogative palermitane e quelle catanesi, tuttora imperanti.

L’unico a ottenere un minimo di riconoscenza è stato l’assessore alle Infrastrutture Alessandro Aricò: non per essere riuscito a finanziare il nuovo lotto della Siracusa-Gela, nel tratto Modica-Scicli (definanziato dal governo amico di Roma); ma per far ottenere la poltrona di manager del “Civico” di Palermo a un manager che più scarso non si può. Già bocciato e commissariato due volte quand’era alla guida di Villa Sofia. Se l’influenza dei palermitani è questa, la prepotenza dei catanesi, di uno in particolare, dilagherà.

Enrico Ciuni :

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