Dal dizionario della politica siciliana è sparita la parola “contrapposizione”. Dal momento in cui Cateno De Luca si è presentato alla corte di Re Renato, “l’ologramma” per intenderci, nemmeno l’opposizione – col dovuto rispetto per i reduci di Pd e Cinque Stelle – esiste più. Il leader di Sud chiama Nord, 500 mila voti alle ultime Regionali, aveva incarnato per davvero lo spirito e il senso critico in una Regione domata e dominata dal centrodestra, con tutte le pratiche – clientelari e non – che a una coalizione di governo, ma questa più di altre, sono “naturalmente” collegate.
De Luca, al netto del ruolo sempre più marginale in parlamento (3 deputati rispetto agli 8 degli inizi), rappresentava l’avamposto della democrazia e della dialettica, che dopo la sua ultima visita a Palazzo d’Orleans rischiano di essere azzerate. Era il simbolo di chi non era disposto al compromesso, e lo aborriva (al netto della rituale spettacolarizzazione). Oggi, suo malgrado, ne diventa il massimo rappresentante: è la sublimazione dell’inciucismo. Il rapporto malato fra maggioranza e opposizione non si annida soltanto all’Ars nei giorni della Finanziaria (ce n’è un’altra che bussa alla porta), ma si estende al resto del calendario. Varca i portoni con disinvoltura estrema, si insinua persino nei comunicati stampa, che dopo la fase della “banda bassotti politica”, delle accuse esagerate e degli insulti a tratti irripetibili, diventano dolci e soffici come la panna.
Il leader di Sud chiama Nord, qualche giorno fa, ha ringraziato il presidente dell’Ars e tutti i parlamentari per aver concesso la deroga al suo gruppo, sceso sotto la soglia dei quattro deputati imposti per legge. “Esprimo il mio più sentito ringraziamento al consiglio di Presidenza dell’Assemblea Regionale Siciliana e ai deputati appartenenti a tutte le forze politiche per la sensibilità e l’attenzione mostrate nell’accogliere la nostra richiesta di mantenimento del gruppo parlamentare Sud chiama Nord all’ARS – ha detto un Cateno stranamente innocuo – in considerazione del rispetto dei requisiti previsti dal regolamento. È un segnale importante verso la rappresentatività e la voce dei cittadini siciliani che il nostro gruppo rappresenta con determinazione”. Questo afflosciamento di De Luca gli è già costato addio pesante, quello di Ismaele La Vardera, e l’incazzatura non tanto tiepida di alcuni seguaci della prima ora, col partito che lentamente ma inesorabilmente si sta disfacendo.
Ma Scateno non è disposto a fare altra opposizione, ha rinunciato dopo neanche un paio d’anni, e stavolta si candida per diventare il numero 2. Anche di Schifani se necessario. La rinuncia a qualsiasi accordo con la sinistra è figlia di una scarsa considerazione del “campo largo” e forse di se stesso, che in solitaria ha già perso le sue battaglie (prima le Suppletive al Senato, poi le Europee). De Luca diventa uomo di coalizione, lo diventa per gradi, ma stavolta sembra un processo irreversibile. Con quale pathos i suoi elettori potranno seguirlo? Con quale faccia dovrebbero presentarsi al suo prossimo comizio dopo questa clamorosa inversione a “U”? Dal vocabolario della politica scompare la parola “serietà”, ma soprattutto il termine “coerenza”. Siamo oltre il cambio di casacca, ben oltre.
Anche se per inquadrare fino in fondo la vicenda, bisognerebbe invertire la prospettiva. E passare dalla parte di Schifani, l’uomo dai poteri magici, che prima di Scateno era già passato all’incasso con due dei suoi rivali alle ultime elezioni. Il primo, senza troppi indugi, era stato Gaetano Armao. “Figura di altissimo profilo” che ha preso il posto del “segretario dei Verdi” nella Commissione tecnico specialistica, il cui compito è esprimersi sulle autorizzazioni ambientali rilasciate dalla Regione. Non solo. Schifani aveva preparato il terreno al ritorno del figliol prodigo – si era schierato contro lui e Forza Italia nel 2022, indossando gli abiti del Terzo Polo – consegnandogli un incarico da 60 mila euro per occuparsi di questioni e fondi extraregionali. Un incarico già prorogato. Non è bastata la pendenza con l’Agenzia delle Entrate, né i rapporti tesi con il Procuratore della Corte dei Conti di Palermo – altro che dossieraggio – per riflettere sull’opportunità politica di una nomina. Oggi Armao si gode persino i complimenti (dalla convention di Forza Italia a Santa Flavia), continuando a lavorare nell’ombra. Ma nella stanza accanto a quella del governatore.
Dopo Armao era toccato a Caterina Chinnici. Anche lei aveva sfidato (in punta di fioretto) Schifani e il centrodestra alle ultime Regionali, parlando il meno possibile. Si era classificata terza a causa della rottura coi 5 Stelle, che all’indomani delle primarie preferirono tirarsi indietro. Anche l’ex magistrata, tre volte in Europa, ha ceduto al fascino forzista di Tajani e Schifani, che, appena possono, la esibiscono come un trofeo: organizzandole dei panel sulla giustizia in compagnia di Rita Dalla Chiesa (quella che “i voti di Cuffaro sono inquinati”). Grazie al passo di lato di Tamajo, che sulla carta è il delfino di Schifani, l’ex Pd è volata a Bruxelles, assicurandosi un vitalizio da 21 mila euro al mese non appena avrà terminato le operazioni al parlamento UE.
Un altro rivale (non diretto) che ha avuto accesso alla cerchia del governatore, è Giancarlo Cancelleri, oggi in lizza per sostituire Pasqualino Monti all’Autorità portuale (anche se le quotazioni dell’ex M5s appaiono leggermente in calo). Questi non sono cambi di casacca, ma conversioni in piena regola. E come tali suscitano stupore. Ma il passaggio e l’approdo alla corte del “nemico” sta diventando una cifra distintiva di questa legislatura, più che delle precedenti. E sta finendo per umiliare la politica, il voto degli elettori, il coraggio delle idee, l’ideologia e anche la post ideologia (a tutto c’è un limite).
Non serve citare ogni singolo passaggio delle interviste di De Luca per cogliere la sua distanza da Schifani; né basterebbe una giornata per recuperare le sparate di Cancelleri, sottosegretario alle Infrastrutture nel governo Conte, per cogliere la sua repulsione nei confronti di Forza Italia e di Berlusconi. E infine non basterebbe un libro per narrare delle acrobazie di Armao. Anche gli elettori, ormai, ci hanno fatto il callo. Quelli che non ci riescono, almeno in Sicilia, rimangono a casa.