Qualcosa bisogna pur fare. Così ci ha pensato il governo, che nell’ultima riunione di giunta ha approvato una serie di correzioni all’ultimo “collegato”, impugnato in parte da Palazzo Chigi, e lo riproporrà all’Assemblea per la votazione finale. Riattivando un meccanismo che è rimasto sospeso troppo a lungo. Mentre il presidente Galvagno propone le sanzioni (da 180 euro) per quei deputati che si assentano senza giusta causa durante le votazioni, qui bisognerebbe capire un’altra cosa: perché in aula non arriva mai nulla. Colpa del governo, che pecca in termini di attività legislativa; e delle commissioni, da cui dovrebbero venir fuori disegni di legge da sottoporre ai deputati. Invece è un continuo esercizio per tappare i buchi: martedì prossimo, ad esempio, si è deciso di riconvocare la povera assessore Nuccia Albano per completare interrogazioni e interpellanze sulla rubrica ‘Famiglia e Lavoro’, già inaugurata questa settimana.
La realtà – che tutti conoscono – è che all’Assemblea non c’è più nulla da fare. In quest’anno e mezzo fitto di legislatura, non è stata portata a termine una sola riforma degna di nota e in queste settimane di campagna elettorale, coi parlamentari in giro sul “territorio”, potrà andare solo peggio. L’ha detto anche Gianfranco Micciché, ex presidente dell’Ars, in un’intervista al Corriere della Sera: “Ci riuniamo una volta alla settimana. Dopo dieci minuti, si interrompe e convocano i capigruppo. Tornano dopo un’ora e rinviano la seduta di una settimana”. E’ così che funziona. Con qualche diversivo: martedì scorso, ad esempio, è giunta a palazzo dei Normanni una équipe del Policlinico di Palermo per sottoporre ai deputati il test antidroga del capello. L’adesione era volontaria ma in tanti hanno preso la palla al balzo per farci un post sui social. Con tanto di foto. La chioma più apprezzata è risultata quella di Ismaele La Vardera, debordante nelle sue manifestazioni social.
A tal punto da denunciare, mercoledì pomeriggio, la censura di Galvagno durante i lavori d’aula. Era il giorno dello scandalo di Tremestieri, con Sammartino sul banco degli imputati e Schifani impegnato altrove. Al primo tentativo di buttarla in caciara (o in “sciacallaggio politico”), il presidente dell’Ars è intervenuto chiudendo il microfono a La Vardera, già intento nel suo comizio. Ne sono conseguiti cinque minuti di sceneggiata stucchevole, con il deputato di Sud chiama Nord a indignarsi con il massimo inquilino dell’Assemblea per averlo interrotto. E l’altro a sfoderare la sua rabbia (spesso repressa a causa del suo ruolo da super partes): “Lei è un attore, non un deputato” ha detto Galvagno, anticipando la prossima mossa del collega (cioè spiattellare il video su TikTok). Apriti cielo: l’ex Iena ha minacciato finanche di rivolgersi al Presidente della Repubblica, che al massimo potrebbe rimettere la questione nelle mani di qualche dirigente di scuola elementare per vedere chi ha ragione.
Ma queste scene sono sempre più frequenti. Una volta, almeno, c’era Musumeci che sfidava a duello Sammartino, predicendone il futuro (“Auspico che per lei e per quelli come lei si occupino presto altri palazzi”). Oggi, invece, siamo alle comiche del capello e alle recite sulla censura. Mentre tutt’intorno tace (coi presenti che si contano sulle dita di due mani, e gli altri fuori a fare campagna elettorale). Ma adesso si cambia rotta. Così è stato lo stesso Galvagno ad annunciare la novità: dal 1° maggio, ricorrenza dei lavoratori, chi si assenterà dalle votazioni verrà sanzionato di 180 euro. Questi soldi verranno trattenuti dall’indennità di fine mese (6.600 euro netti prima dell’adeguamento Istat, esclusa la diaria). Che paura. Il problema non è tanto chi si assenta dalle votazioni (dimezzato anche il numero dei congedi), ma che non si vota mai. E sotto questo aspetto sono tutti complici.
Gli ultimi episodi, avvenuti ormai un paio di mesi fa (con la vittoria dei franchi tiratori su “salva ineleggibili” ed ex province), hanno finito per paralizzare del tutto l’attività legislativa. Mentre il governo, che sarebbe stato logico azzerare, è rimasto tale e quale. Anche in commissione si fa meno di zero: la prima, Affari istituzionali, ha deciso di astenersi sulla valutazione dei manager della sanità, che il governo, alla fine di gennaio, aveva messo a capo di Asp e ospedali. Anche i tentativi maldestri, come quello del condono delle case costruite a 150 metri dal mare (prima del 1983), finiscono in fumo. Figurarsi le cose serie.
Insomma l’Ars non serve anche se il governo ha prodotto un nuovo faldone per tirarsi fuori dalla palude. Ha approvato l’altro pomeriggio il ddl “Impegni governativi” per rispondere ai rilievi effettuati dalla presidenza del Consiglio dei ministri sulle norme del “collegato” alla legge di Stabilità. Per un gruppo di articoli, impugnati innanzi alla Corte Costituzionale, si propone direttamente l’abrogazione, mentre per altri viene proposta la modifica. Schifani continua a perorare la causa della norma che prevede gli incentivi per i medici impiegati in strutture periferiche o di provincia e quella per l’adeguamento tariffario delle strutture riabilitative, per le comunità terapeutiche assistite, per le residenze sanitarie assistenziali e per i centri diurni per soggetti autistici. E’ prevista inoltre la riscrittura dell’articolo relativo alla progressione dei dipendenti regionali, e le “Nuove norme in materia di interventi contro la mafia e di misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari”. Inoltre, fino al 31 dicembre 2025 e nell’attesa che venga definita una disciplina statale, il ddl prevede che la legge 20 si applichi anche alle donne vittime di violenza con deformazione o sfregio permanente del viso e ai figli delle vittime di femminicidio.
Ma non è finita, perché quasi ad ammettere le ultime laceranti sconfitte, e nonostante l’iniziale resistenza di alcuni partiti (fra cui la Democrazia Cristiana), nel ddl omnibus è prevista l’indizione delle elezioni di secondo livello dei presidenti dei Liberi consorzi comunali e dei consigli metropolitani, in una delle domeniche comprese tra il 6 e il 27 ottobre 2024. Insomma, visto che le province non potranno essere riesumate, e 300 poltrone rimarranno in ghiaccio fino all’abrogazione della legge Delrio, si è deciso di mandare in scena il piano-B. Il testo del disegno di legge governativo sarà ora trasmesso all’Ars per la discussione e l’approvazione definitiva. Campa cavallo.