Ci sono stagioni che dovrebbero diventare eterne per decreto legge. Come il boom italiano, ad esempio. Giorni lontani -ere geologiche fa- che sanno di spensieratezza, di fiducia nel futuro e nel progresso (all’epoca quasi sinonimi) e di PIL a due cifre (positive); di autostrade in costruzioni, di grandi opere e di benzinai riveriti come dj ai rave, in quanto dispensatori di sogni e libertà.
In attesa del decreto legge adatto, quegli anni rivivono in canzoni arcinote e arciamate. Come Shakespeare per il regno di Elisabetta, come Verdi per il Risorgimento, anche il boom italiano ha avuto il cantore che l’ha reso eterno. Non credo di esagerare quando dico che Domenico Modugno sta agli anni ’60 del secolo scorso come Omero alla guerra di Troia.
Ma prima di buttarsi a capofitto nell’abbuffata di modernità, notti brave e estati eterne, Mr. Volare scrive un brano nostalgico. Domenico fiuta che il vento sta cambiando e per cantare meglio quella promessa dipinta di blu, sente di doversi congedare dal passato. Sceglie di farlo con garbo e malinconia. Vecchio Frack è il suo addio al passato. Alla guerra, alla fame, alla povertà ad un epoca di cui sente il tramonto ormai imminente. Oltreché l’addio ad un amico.
Tutto li divideva: censo, nascita, inclinazioni. Eppure divennero amici. Si conobbero al caffè Irrera di Messina. Quando Raimondo passava lo stretto per tornarsene a casa sua in Sicilia, puntualmente si fermava al noto caffè, dove di norma trangugiava non meno di 7 granite e 12 cannoli. Lì suonava Domenico. A furia di laute mance, pacche sulle spalle, richieste musicali strampalate – manco fosse un juke-box ante litteram – e strappi in auto in giro per l’isola a velocità da Targa Florio, divennero amici.
Domenico all’epoca non era ancora Modugno: solo un giovane cantante spiantato dalla bella voce e dalle altrettanto belle speranze. Raimondo era Raimondo Lanza di Trabia e non passava inosservato. Principe siciliano, ultimo erede, sebbene nato bastardo, di una delle più importanti famiglie dell’isola, jet settaro indomabile, sciupafemmine impenitente, agente segreto durante la guerra e probabilmente anche dopo, aveva fame di vita. La prendeva a morsi la vita. Amava l’adrenalina delle auto veloci, le domeniche alla Favorita, l’ebbrezza degli oppiacei, le gambe lunghe delle belle donne, il tabacco e la musica che arrivavano dall’America. Insomma, nonostante il suo passato ingombrante -o forse proprio per sfuggirgli- era un uomo del futuro. Un uomo del boom prima del boom. Sì, perché il boom non lo visse mai.
Una mattina di novembre del 1954, all’età di 39 anni, morì in circostanze misteriose, precipitando da una camera dell’Hotel Eden di Roma. Modugno scrisse e cantò per lui Vecchio Frack, omaggio e ultimo saluto all’amico eternamente in bilico tra passato e futuro. Raimondo trovò il suo aedo. L’Italia che stava cambiando pelle il suo cantore.
Un quarto di secolo fa moriva Domenico Modugno; 65 anni fa Raimondo. Eppure non paiono più così lontani, almeno a leggere gli innumerevoli commenti al video di Vecchio frack postato su Youtube. Commenti commossi, anche e soprattutto di millennials che non hanno vissuto il boom (né mai lo vivranno, continuando di questo passo), né hanno mai sentito parlare di Raimondo Lanza. Ma quando una stagione o un eroe trova il suo aedo, capita a volte di accedere all’eternità.