Dopo la Fondazione di Agrigento Capitale della Cultura, Roberto Albergoni ha lasciato anche la direzione di Gibellina, individuata come Capitale dell’Arte contemporanea 2026. Alla base, spiega, ci sono pesanti interferenze politiche: “Non credo di avere la fiducia del presidente Schifani. Non voglio mettere in difficoltà il sindaco, la mia presenza era ormai considerata fastidiosa”, ha dichiarato a Repubblica.

Ma tutto parte da Agrigento. Albergoni ha ricevuto una comunicazione via email che gli contestava l’indennità da direttore – 2.000 euro su un totale di 4.000 – con effetto retroattivo. Il nodo centrale, però, non è economico. È politico. Ed è profondo. Albergoni denuncia un sistema in cui “la politica ha cercato di imporre una logica di appartenenza”, bloccando sul nascere ogni possibilità di costruzione condivisa e ogni ambizione di apertura culturale. “Il Cda della Fondazione non ha competenze specifiche sui progetti culturali, ma è stato formato con il bilancino degli equilibri tra esponenti politici”, accusa.

Il progetto, inoltre, è partito con gravi ritardi e scarsità di risorse. Dei 7 milioni previsti dalla Regione tra 2024 e 2025, nessun fondo è stato destinato alla realizzazione dei progetti artistici del 2025. “Quando ho chiesto quanti soldi erano previsti per realizzare i progetti artistici del programma di quest’anno, dalla Regione mi hanno detto: zero euro. Intanto i soldi sono finiti per il concerto de Il Volo e altre iniziative collaterali”. A pesare anche la totale assenza di una struttura operativa efficace: “Una sola persona contrattualizzata, altre tre part-time. Le selezioni per altri sei profili sono state azzerate. La fondazione è diventata una macchina di burocrazia peggio di un Comune”. Secondo Albergoni, la causa è chiara: “Gli interlocutori istituzionali non si sono fatti contaminare dagli artisti. Forse hanno pensato che era tutto troppo snob, troppo di sinistra, troppo inutile”.

Un’amara constatazione accompagna le sue parole: “Non è un problema di luoghi, ma di persone”. A Palermo, ricorda, per “Manifesta” era riuscito a lavorare bene. Ad Agrigento, invece, è prevalsa quella che definisce “conflittualità autodistruttiva, la guerra di tutti contro tutti”. L’opportunità culturale è stata divorata da un sistema di veti incrociati, personalismi e logiche clientelari: “Tenere in piedi il conflitto diventa più importante che fare le cose”.