Il potere alla pancia

Cateno De Luca, a Messina ha sbaragliato Bramanti, l'uomo del centro destra che aveva vinto al primo turno

E’ la notte dei ribaltoni elettorali. In cui vengono a galla le magagne dei Cinque Stelle, incapaci di tenersi stretto il feudo di Ragusa, dove alle ultime Politiche il Movimento si era avvicinato al 50% dei consensi. Ma è anche la notte, e che notte, di Cateno De Luca, il terremoto dello Stretto, che ribalta in maniera clamorosa i dati del primo turno e schioda Bramanti dalla poltrona virtuale di primo cittadino a Palazzo Zanca. Non fa eccezione di Siracusa, dove il centro-destra, reo di aver presentato due candidati il 10 giugno (Reale e Granata), ne esce con le ossa rotta: Reale perde, vince Italia, sovvertendo ogni tipo di pronostico.

Cateno De Luca

Quarantasei anni, già sindaco di Fiumedinisi e Santa Teresa di Riva, già deputato regionale (con qualche problemino giudiziario alle spalle, e tuttora in corso), De Luca completa al ballottaggio un vero capolavoro. Si appropria del 65,28% delle preferenze e si appresta a governare Messina, nella notte in cui si consuma il passaggio di consegne con Renato Accorinti, il sindaco no-ponte, vestito un po’ strambo e incapace di portare nella città peloritana la rivoluzione tanto annunciata. Un coup de théâtre tira l’altro, perché De Luca, come il suo predecessore, non è inerte da clamorose messe in scena. Una volta si denudò all’Ars per protesta, rimanendo in mutande e con una bandiera della Trinacria addosso.

Ora il peso della responsabilità si eleva, anche se sarà molto difficile cambiare un personaggio di per sé vulcanico. La sua vittoria, da uomo del centrodestra contro il centrodestra – alle ultime Regionali fu eletto in quota Udc al fianco di Musumeci – mette a nudo i limiti della coalizione di governo che a Messina si era presentata unita. Attorno al prof. Dino Bramanti, docente universitario, con il sostegno trasversale del governatore e di Micciché. “E’ una grande vittoria contro la casta, le consorterie e le lobby politiche che hanno governato la città negli ultimi 30 anni – ha detto il neo sindaco di “Sicilia Vera”, movimento fondato dallo stesso De Luca nell’ormai lontano 2007 -. È stata una vittoria dei cittadini che hanno detto basta a questo sistema di potere che ha messo in ginocchio Messina. Fiumedinisi mi ha lanciato, Santa Teresa mi rilanciato, Messina mi porterà a fare il presidente della regione Sicilia” ha tuonato in piazza De Luca, proponendosi però come “sindaco di tutti, anche se Bramanti – spero non sia vero – abbia affermato che non sia disposto a stringermi la mano”.

Da un tonfo, quello del centro-destra, a un altro, quello dei Cinque Stelle. Che cedono lo scettro a Ragusa, la seconda città capoluogo in cui nel 2013, dopo Parma, riuscirono a esprimere un primo cittadino. All’epoca fu Federico Piccitto, che questa volta – anche a seguito delle numerose divisioni interne dei MeetUp locali – ha fatto un passo indietro e lasciato campo libero (ma particolarmente minato) ad Antonio Tringali, presidente del Consiglio uscente. La mossa non ha pagato. Ragusa si è quasi ribellata a cinque anni di amministrazione grillina, foriera di scarsi successi. E ancora una volta ha deciso di cambiare: da quando esiste l’elezione diretta del sindaco, solo Nello Dipasquale, all’epoca espressione di Forza Italia e Pdl, ottenne una conferma nella città barocca.

Giuseppe Cassì

Forse insoddisfazione perenne, forse gli equilibri che si rimescolano. E anche in questa tornata a Ragusa, con sette candidati al primo turno, il quadro era un Picasso. Scorbutico, confuso e per nulla uniforme. Spazzati via dalla scena i candidati della sinistra, rimaneva in corsa soltanto Peppe Cassì, personaggio che nulla a che fare aveva con la politica. L’unico accostamento a Palazzo delle Aquile glielo regalarono i tifosi della Virtus Ragusa, squadra di basket di cui era capitano alla fine degli anni ’90, con uno striscione premonitore per esaltarne le doti di leadership e spogliatoio: c’era scritto sopra Peppe Cassì Sindaco. Quello stesso striscione è stato rispolverato in campagna elettorale e ha portato bene.

Partito in ritardo rispetto alla concorrenza, senza grossi alleati alle spalle (l’unico partito, Fratelli d’Italia, non ha i numeri per entrare in Consiglio) Cassì ha sbaragliato il suo avversario, al ballottaggio, conquistando il 53% dei consensi, 1500 voti in più di Tringali. Solo nelle ultime due settimane, a causa di qualche scaramuccia con un ex assessore del Movimento – il quale affermava che lo stesso Cassì avesse alle spalle l’appoggio della vecchia politica, in primo luogo del deputato di Forza Italia Nino Minardo – aveva perso un po’ le staffe. Ma è tutto rientrato in tempo e la città ha premiato davvero la figura nuova, incontaminata, che spera di farsi valere come su un parquet: “Era un’onda che cresceva, Ragusa ha creduto nella mia proposta – ha detto il neo sindaco – Il non apparentarsi ha pagato perché è stato un fatto di coerenza. Non ho rancori per nessuno, ma chi ha tentato di buttarla in rissa ne ha pagato le conseguenze”. Lo stramazzo dei Cinque Stelle è completo e neanche la visita di Giancarlo Cancelleri e il fatto di poter contare sul gruppo più rappresentativo in Consiglio comunale (6 elementi) riuscirà a lenire un dispiacere troppo grande. Per aver perso il “feudo” dove nessuno credeva mai di poter perdere.

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