In Sicilia c’è ancora qualcuno che spera, un giorno, di veder realizzato il Ponte sullo Stretto. Ma l’unica società a cui era stato affidato l’incarico della progettazione esecutiva, che molti anni fa si era aggiudicata la gara d’appalto con un ribasso del 17% a base d’asta (la Eurolink), nel 2012 si è vista segare le gambe dal governo Monti, che ha ritenuto di bloccare l’opera. Da quel momento, però, va avanti un contenzioso milionario fra la stessa Eurolink, Palazzo Chigi, il Ministero delle Infrastrutture e la Stretto di Messina spa, una concessionaria dello Stato che avrebbe dovuto occuparsi di tutte le vicende relative al Ponte. E proprio il contratto “capestro” fra il consorzio Eurolink e la Stretto di Messina, abbozzato nel 2006 e rivisto nel 2009, sotto il governo Berlusconi, parla di una penale da 700 milioni di euro in caso di mancata realizzazione dell’opera. Da qui l’inghippo di cui parla il “Fatto Quotidiano”.
La Sdm, partecipata sia da Anas che da Ferrovie dello Stato, in realtà non fa più nulla, se non pagare fior di avvocati per resistere in giudizio alle pretese di Eurolink. A cui, per altro, ha fatto causa. La battaglia legale della concessionaria dello Stato, ha coinvolto anche Palazzo Chigi e altri ministeri, in un “tutti contro tutti” assai difficile da sbrogliare. Più volte la Corte dei Conti ha intimato la chiusura della Stretto di Messina Spa, che fra l’altro è una società in liquidazione dal 2013. Ma ogni tentativo si è infranto su un muro di gomma. Il commissario, nominato dal governo Monti, si chiama Vincenzo Fortunato, ed è stato il potente capo di gabinetto dell’ex Ministro Tremonti. Percepisce qualcosa come 120 mila euro l’anno (più 40 mila di parte variabile) per portare avanti una pratica di liquidazione che avrebbe dovuto concludersi entro un anno dalla sua nomina. E invece niente. Secondo Fortunato, i soci di Sdm in questo modo erediterebbero soltanto i debiti della società e non i crediti vantati nei confronti di Eurolink. Sarebbe una soluzione a perdere, e per questo viene osteggiata.
Eppure la Corte dei Conti insiste, perché chiudere la pratica della Stretto di Messina spa consentirebbe di far risparmiare molti soldi e di abbandonare qualsiasi pretesa risarcitoria nei confronti dello Stato. Da qualche mese Palazzo Chigi, evidentemente sotto pressione, chiede al Ministero dell’Economia, da cui dipende la concessionaria, “le comunicazioni in ordina alla sua chiusura”. Ma i tre tentativi messi in scena – fra aprile e novembre del 2019 – dal segretario generale Roberto Chieppa non sono stati accolti. All’invito di accelerare la pratica, il capo di gabinetto del Tesoro, Luigi Carbone, non ha mai risposto. Lo racconta il “Fatto”.
La Stretto di Messina produce utili per chi vi lavora (dal liquidatore agli avvocati), ma continua a costare una cifra imbarazzante (1,5 milioni nel 2016) ai contribuenti. Una proposta, ancora al vaglio degli organi preposti, è l’istituzione di un tavolo di lavoro – con il coinvolgimento del governo e dei ministeri competenti – per mettere a punto una norma che fissi la chiusura della Sdm. Ma il continuo rimpallo di responsabilità ha fatto arenare ogni proposito. A mettere un punto fermo, però, sembra aver provveduto la magistratura contabile, che ha inoltrato le carte alla Procura per vedere se almeno lo spauracchio del “danno erariale” potrà far calare il sipario su questa storia di sprechi e di inutili ricchezze. Pronto, Tesoro: c’è qualcuno?