Dal suo ufficio alle Infrastrutture, Matteo Salvini ne tira fuori una al giorno. Ma ce n’è una, più di altre, che è diventata la bandiera del Ministro: dare alla Sicilia il Ponte sullo Stretto. Il segretario della Lega è il nuovo Berlusconi, vent’anni dopo. L’unico progetto esecutivo esistente, infatti, è quello a una campata aggiudicato al Consorzio Eurolink (come general contractor) nel 2005, e poi riposto nel cassetto da una delibera nel Cipe, all’epoca del Governo Monti, perché non ritenuto “prioritario”. All’epoca fu posta in liquidazione anche la società ‘Stretto di Messina srl’, che avrebbe dovuto progettare, realizzare e gestire il collegamento stabile tra la Sicilia e il Continente.
L’unica conseguenza di quarant’anni di discussioni inutili, fu la perdita di tempo e di un sacco di soldi. Salvini però non demorde, per lui è una battaglia personale. Una prova muscolare per dimostrare quanto vale (agli italiani ma soprattutto alla Meloni): “Ho già fatto la prima riunione operativa con ingegneri ed esperti – ha detto qualche giorno fa, intervenendo al 66° Congresso nazionale degli ordini degli ingegneri -. C’è già un’ipotesi di costo e di tempistica. Abbiamo a che fare con una società in liquidazione dal 2013, ma un progetto c’è, conto che nei prossimi mesi dopo 50 anni di attesa ci sarà una parola certa”.
E per dare la sensazione che qualcosa si stia muovendo sul serio, ha convocato nei suoi uffici i due governatori interessati: il siciliano Renato Schifani e il calabrese Roberto Occhiuto, che il prossimo 8 novembre si recheranno a Roma “per fare il punto della situazione”. Entrambi si professano “sostenitori” della mega opera, che non sappiamo ancora quanto costerà. L’unico indizio, un annetto fa, lo ha fornito – pensate un po’ – l’ex vicepresidente della Regione siciliana, Gaetano Armao, spiegando che “i costi annuali dell’insularità” – definita una tassa occulta da 6,5 milioni – “sono gli stessi che servirebbero a costruire il Ponte sullo Stretto”. Ma è solo un indizio. Da riaggiornare in base a mille cose: il tipo di progetto da realizzare (che non è detto sia lo stesso di Eurolink); l’aumento dei costi delle materie prime; la fonte – eventuale – di finanziamento; le criticità sismica.
Anche l’ex ministro Giovannini, qualche giorno fa, ha aggiornato i “credenti” sull’ennesimo studio di fattibilità datato 2021: “C’è stata una commissione di studio che ha mostrato che il progetto dell’epoca (quello a una campata, ndr) non è adeguato alle nuove normative tecniche e quindi – afferma – abbiamo chiesto a Rete ferroviaria italiana di fare un supplemento di indagine su cosa bisogna fare per adeguare quel progetto, di fare un’alternativa progettuale di ponte a tre campate più vicino a Reggio Calabria e Messina. E lo avremo nel 2023 questo studio”. Quindi bisognerà aspettare ancora: a meno che Salvini non decida di infischiarsene e procedere lo stesso. Perseguendo la strada più semplice (anche se “inadeguata”): “Costa di più non fare il ponte sullo stretto che farlo – ha detto -. Nel corso di questi cinque anni far partire il cantiere è uno dei miei obiettivi e creerebbe oltre 100 mila posti di lavoro”. E ancora: “Il trasbordo via traghetto, oltre a inquinamento e perdita di tempo, in un anno costa a siciliani e calabresi più del ponte”, ha spiegato, sottolineando che “il Ponte è solo una parte, perché serve l’alta velocità in Sicilia e la Salerno-Reggio Calabria”.
Quest’ultima è la parte più verosimile, come ha sottolineato anche Alessandro Albanese, vicepresidente di Unioncamere Sicilia: “Il Ponte è la madre di tutte le infrastrutture, va fatto perché senza non si possono completare l’alta velocità ferroviaria e l’anello autostradale. Il Sud e la Sicilia devono essere al centro dell’agenda del nuovo governo perché se funzionano se ne avvantaggia tutto il Nord e il Paese, in quanto i porti e i nodi logistici del Nord e del Centro sono congestionati. Ma la Sicilia deve presentarsi unita e compatta”. Una possibilità esiste: sia Schifani che l’ex presidente Musumeci si dicono favorevoli all’opera. Il primo ci ha costruito sopra la campagna elettorale: “Quando ero capogruppo di Forza Italia con il governo Berlusconi – ha detto – eravamo andatiti molto avanti, poi in 90 giorni il governo Prodi ha deciso di azzerare tutto. Adesso ci sono i presupposti, un progetto esecutivo (approvato nel 2011, ndr) e soprattutto la volontà politica del sottoscritto e di tutta la coalizione regionale e nazionale”. Musumeci è persino più piccato: “Temo sia mancata nell’ultimo decennio la volontà politica di osare: le presunte criticità tecniche sono servite da comodo alibi per prendere tempo”.
A parole siamo nel bel mezzo di una luna di miele. Di una corrente di pensiero favorevole. Nessuno, però, che parli di costi o fonti di finanziamento; nessuno che accenni al fatto che l’opera sia finita fuori dal Pnrr perché impossibile da completare entro il 2026 (la deadline fissata dall’Europa); o che, così com’è stata pensata, si tratti di un’opera imponente – troppo! – sotto il profilo ingegneristico: la campata unica porterebbe l’Italia a battere l’attuale record detenuto dal Giappone con un ponte analogo di poco meno di due chilometri. Nessuno, infine, che faccia riferimento all’ultimo studio condotto sui fondali marini dello Stretto di Messina e sulla sismo-tettonica dell’area, frutto di una collaborazione internazionale tra il Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania, il Center for Ocean and Society-Institute of Geosciences dell’Università di Kiel in Germania e l’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Gli scienziati coinvolti hanno svelato nel 2021, e per la prima volta, l’ubicazione e le caratteristiche della possibile faglia da cui si originò il devastante sisma che nel 1908 provocò morte e distruzione tra Sicilia e Calabria, causando la più grande sciagura sismica del Novecento e 120 mila vittime. La ricerca dal titolo “The Messina Strait: Seismotectonic and the Source of the 1908 Earthquake”, e pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Earth-Science Reviews, ha stabilito che la struttura che corre lungo l’asse dello Stretto è individuabile a circa 3 chilometri dalle coste della Sicilia. Alla latitudine di Messina, la spaccatura curva verso Est penetrando nell’entroterra calabro per proseguire poi lungo l’asta fluviale del torrente Catona. Secondo le relazioni lunghezza-magnitudo, la faglia è in grado di scatenare terremoti di magnitudo 6.9, una energia dunque molto simile a quella liberata durante il terremoto del 1908.
Ma questo viene dopo. Prima c’è il vuoto cosmico di un’illusione da fornire ai siciliani per farli stare meglio. Per allontanarli dai problemi, mai evasi, di una rete stradale e ferroviaria farlocca; di collegamenti impossibili con le isole minori. Salvini ha un altro dossier che riguarda Lampedusa e Pantelleria, dove dal prossimo 1° dicembre – alla scadenza dell’attuale proroga – sarà impossibile arrivare in aereo. A meno che qualche benefattore dell’ultima ora non si palesi all’ennesima gara “tampone” (fino al 30 giugno, non un giorno di più) per garantire il collegamento che fino a oggi è stato amministrato dalla Dat, la compagnia danese. In caso contrario ci si potrà spostare sulla terraferma – o viceversa – soltanto via nave. Problemini che forse richiederebbero una certa tempestività. Tanto quanto le chiacchiere sul Ponte.