Mille operai a lavoro h24 per ricostruire il ponte Morandi di Genova, crollato nel Ferragosto di due anni fa. E’ bastato l’appunto di Giovanni Toti, governatore della Liguria, nel corso dell’ultimo Festival di Sanremo, per farci ripiombare nella depressione. Per farci ricordare come per rimontare un pezzo del viadotto Himera, siamo lì ad attendere dall’aprile del 2015. Allo scoccare del quinto anno, forse, avverrà il miracolo. Ma la crisi della Sicilia va ben oltre le ricorrenze, le vergogne e l’incapacità appurata. E va ben oltre le richieste del presidente Musumeci, che nell’ultima apparizione televisiva, a Sky, ha reclamato “cinque anni di regole straordinarie” per aggirare i mille cavilli burocratici che fermano la ricostruzione non solo dell’Himera ma di tutta una terra. Non è così facile.
“Nonostante i proclami del governo regionale, e il riconosciuto impegno dell’assessore Marco Falcone, la situazione delle autostrade siciliane, ed in particolare di quelle gestite dal CAS, rimane la stessa”. L’ha detto qualche giorno fa un deputato regionale del Partito Democratico, il messinese Franco De Domenico, aprendo un nuovo squarcio nella già insostenibile leggerezza del disastro della viabilità siciliana. La guerra fratricida fra il governo Musumeci e l’Anas andrebbe analizzata da un’altra prospettiva. Che va oltre le criticità dell’A19, ossia la Palermo-Catania, l’asse viario più importante per l’Isola. Perché intorno all’A19, e alle sue difficoltà ancestrali, esiste tutto un mondo di strade e trazzere impercorribili, e talvolta ripugnanti alla vista.
E’ comodo far credere che qualcuno sia esente da colpe: non è così. Nella rete del CAS, solo nel 2019, il Ministero per le Infrastrutture ha registrato 790 pareri di non conformità. A fornire il dato è stato il viceministro, sicilianissimo, Giancarlo Cancelleri. Significa che nel caso in cui il governo di Roma decidesse – come sta avvenendo con Autostrade per l’Italia – di procedere alla revoca delle concessioni, il Consorzio per le Autostrade Siciliane (un ente pubblico non economico sottoposto al controllo della Regione) sarebbe il primo a saltare. Adieu. Tre autostrade sono di sua competenza: la Palermo-Messina, la Catania-Messina e la Siracusa-Gela (o quel che ne rimane, dato che a Rosolini si fermano le sfere).
De Domenico fa notare che fra i problemi del CAS, di cui la Regione si occupa poco nelle sue invettive, ci sono “il protrarsi della chiusura della galleria di Giardini Naxos, il mancato avvio dei lavori di rimozione della frana di Letojanni (dopo oltre quattro anni) e le disastrose condizioni del manto stradale”. Per non parlare “delle frequenti e numerose interruzioni che obbligano a percorrere diversi chilometri a doppio senso”, delle gallerie poco illuminate e della “totale carenza di banali ripetitori di segnale telefonico all’interno delle gallerie”. Saranno pure facezie rispetto ai ponti che crollano, ma non a tal punto da essere ignorate. Tutt’altro. “L’intransigenza nei confronti dell’Anas dovrebbe valere anche per il CAS” ha detto di recente il vice-ministro Cancelleri, spiegando pure che tutti i concessionari di autostrade hanno presentato un piano economico-finanziario, tranne loro.
Ma il dibattito politico, in Sicilia, si concentra soprattutto altrove. Perché il diavolo è l’Anas. Quanto successo a cavallo delle feste sulla Palermo-Catania – deviazioni, interruzioni, code, attraversamenti di fortuna – in parte conferma che è vero. Che le inefficienze si sommano e si sedimentano. E che il tempo non cancella le criticità, bensì le esalta. La chiusura del viadotto Cannatello, nei pressi di Resuttano, ha costretto tir e pullman alla ricerca ardimentosa di nuove vie di fuga (spesso trazzere ignobili) per giungere alla meta. I tempi si allungano, i costi raddoppiano, e qualcuno timidamente protesta (gli autotrasportatori avevano annunciato il blocco, prima di desistere). E basta una sbandata per mandare in fumo una giornata di lavoro. Amen.
E’ una situazione che va avanti, sempre uguale, dal 2015. Dal crollo, sotto il peso di una frana, del viadotto Himera. La Cisl conta i giorni: 1766. Il cronoprogramma per la ricostruzione ha le sembianze di una clessidra che non si svuota mai. Dà ai nervi. Per rimettere su il ponte e riaprire la circolazione nei due sensi di marcia, senza avventurarsi sulla bretella di Scillato (bellissima vista, per carità, ma un po’ scomoda), bisognerà attendere fine aprile-inizio maggio. Cancelleri avrebbe ricevuto le rassicurazioni del caso: “Non manca niente”. E dello scempio s’è accorto di recente anche Salvini – un invito a pastasciutta per un milanese – che sullo stato dell’A19 si è soffermato nella due giorni palermitana: “E’ impensabile che ci voglia meno tempo per andare a New York”.
Salvini sa pure che 17 mila chilometri di strade siciliane sono in mano alle province. Cioè i liberi consorzi comunali, o Città Metropolitane, che hanno smesso di funzionare dal 2014, anno in cui il magnifico Crocetta (in tv) decise di abolirle assieme ai costi della politica. Senza mai valutare uno straccio di alternativa. E peccato che fra le competenze disperse degli enti d’area vasta ci fosse pure la manutenzione stradale. Così, laddove le strade resistono – e non cedono agli smottamenti, alle frane, all’effetto groviera causato dal maltempo – compare la monnezza. La via più breve per andare da Ragusa a Palermo vi porterà ad attraversare una trentina di chilometri, fra Gela e Vittoria, colma di discariche a cielo aperto. Un orizzonte nauseabondo. Più passa il tempo e più d’allargano. Più le attraversi e più ti cascano le braccia. Ma anche per la monnezza, come per i viadotti pericolanti, la colpa sarà sempre di qualcun altro.