Tra Roma e Palermo non scorre buon sangue. L’assessore regionale alle Infrastrutture, in una intervista al quotidiano ‘La Sicilia’, ha avuto da ridire anche sull’elenco delle 130 opere, sette nell’Isola, che il governo Conte ha considerato “strategiche” e allegato al Decreto Semplificazioni. Alcune di esse, come nel caso della SS194 Ragusa-Catania o del tratto ferroviario Palermo-Trapani (via Milo), saranno realizzate in regime di commissariamento. Col “modello Genova”, per intenderci. Ma alla Regione questo non basta. Il commento di Falcone, un assessore del “fare” se ce n’è uno, spiazza rispetto all’euforia con cui, invece, a Roma sostengono l’iniziativa: “Malgrado i buoni propositi del premier Conte – ha dichiarato l’assessore di Forza Italia – la Sicilia resta ferma agli interventi finanziati nel 2018”. Cosa vuol dire? Che “la Regione ci sta mettendo mezzi e risorse affinché si possano ridurre le diseguaglianze col resto d’Italia”, ma “lo Stato riciccia progetti già noti. Inutile ripetere che ci aspettavamo di più”.
La contrapposizione continua e l’orizzonte è cupo. Da poche settimane il governo regionale ha aperto una vertenza con l’Anas, l’azienda di Stato, per contestare alcune negligenze e richiamare l’attenzione su una decina di infrastrutture cardine: la Palermo-Catania, dove nel frattempo sta per concludersi il varo del viadotto Himera, o le statali che collegano Agrigento al resto dell’Isola (Palermo e Caltanissetta in primis). Il tenore dello scontro non accenna a diminuire. L’ultima polemica di Falcone – è come se le manovre giallorosa sulle infrastrutture gli sapessero di “fuffa” – riguarda il mancato inserimento, nella lista delle priorità di Conte, del Ponte sullo Stretto, che è appena tornato di moda nei discorsi da bar e anche a Sala d’Ercole (“Si tratta di una decisione che ci lascia delusi. Provenzano e la De Micheli avevano rassicurato Musumeci”). Ma l’ultima presa in giro, secondo l’assessore, ha un nome e cognome: Alta velocità.
La promessa di Conte di mandare in gara l’asse ferroviario Palermo-Catania-Messina, a sentire lui, è del tutto illusoria: “Quando a Roma hanno redatto il piano “Italia Veloce” avranno fatto confusione: cioè che viene indicata come Alta velocità è nei fatti l’Alta capacità. C’è differenza”. La differenza sta nel fatto che le linee ad Alta capacità possono ospitare treni che raggiungono i 200 km/h e che la Regione, assieme a Rfi, sta già lavorando al raddoppio ferroviario su quella tratta, esattamente fra Catania Bicocca e Catenanuova (nell’Ennese), dove il primo binario veloce dovrebbe sorgere nel 2021 (ma l’opera non sarà completata prima del 2025). Mancano i progetti per le tratte mancanti, che davvero mettano in collegamento – rapidamente – i due assi portanti di Sicilia: sia da un punto di vista attrattivo che economico. Ma questo non ha nulla a che fare coi treni che sfrecciano nel resto d’Italia: per il momento si fermano a Salerno, ma presto arriveranno a Reggio. Senza Ponte, è la tesi della Regione, in Sicilia non si vedranno mai.
La sfiducia, per carità, ci può anche stare. Il pessimismo cosmico di cui, oramai, sembra infarcita la classe politica siciliana, pure. Ma non potranno venir meno la collaborazione e il buon esempio. Sul secondo aspetto non siamo messi benissimo. Dopo Falcone, anche l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, è tornato a chiedere “investimenti in infrastrutture, porti, aeroporti. La gravissima crisi che sta attanagliando la Sicilia non si può affrontare, né tanto meno superare, con incentivi minimi o peggio solo con sussidi”. Ma il problema è che la Regione, se da un lato chiede investimenti, dall’altro azzera le somme destinate all’uopo. Fra le strutture portuali richieste a gran voce dal vice-presidente della Regione e su cui – immaginiamo – anche Falcone sarebbe d’accordo, troverebbe certamente spazio il porto di Gela.
Ma qualche giorno fa, con la prima delibera di riprogrammazione dei fondi europei – per mandare in porto le prime misure della Finanziaria di cartone – la stessa Regione che oggi si lamenta della scarsa attenzione per gli investimenti, ha tagliato l’azione 7.2.2 dell’Asse 7, quello riservato alle Infrastrutture. Si tratta proprio del progetto del Porto di Gela. Nella tabella allegata al parere reso da Vincenzo Falgares, dirigente generale pro-tempore del Dipartimento alla Programmazione, si spiega che “considerata l’assenza di impegni giuridicamente vincolanti per i ritardi d’attuazione sull’iter di approvazione del Porto di Gela, si propone il taglio delle risorse”. Fanno, in totale, 111 milioni 833 mila euro. E non sono i soli. Nella stessa delibera, infatti, si spazzano via altri 99 milioni dell’azione 7.3.1, ossia: una quota della tratta ferroviaria Ogliastrillo-Castelbuono (per 6 milioni), dell’anello ferroviario di Palermo (per 50 milioni) e di alcuni interventi per l’eliminazione di passaggi a livello non attivati (per 43 milioni). Anche dal Patto per il Sud sono stati ritagliati 140 milioni per concedere ristoro ai comuni e alle casse dello Stato (40 sono destinati al contributo regionale alla finanza pubblica): anche in questo caso, le somme sono state sfilate ad alcuni interventi infrastrutturali e alle aree complesse di Gela e Termini Imerese.
Per carità: la prerogativa politica di questo governo, in una fase post-pandemica che rischia di mettere in ginocchio chiunque (tanto più la Sicilia), è liberare risorse per “spesa corrente” e andare incontro alle difficoltà di famiglie, lavoratori e imprese. Tutto questo a scapito degli investimenti. Risparmiare su progetti non ancora cantierabili è un rischio che si vuole correre. Ma non si può impedire a Roma di fare lo stesso, facendo ricadere il peso degli errori – passati, presenti e soprattutto futuri – sulla gestione dissennata dello Stato centrale, reo, fra l’altro, di non aver mai restituito “i finanziamenti scippati due anni fa per il lotto C della Statale Nord-Sud – spiega l’assessore Falcone – e cioè il collegamento fra Nicosia e l’autostrada A19 Palermo-Catania”. Sembra la solita storia di “Roma ladrona”, anche se la prospettiva si è ribaltata: oggi la protesta arriva dal Sud e non più da Pontida. Colpa di certe refluenze?
“L’Italia è un Paese diviso – ha confermato Gaetano Armao, a margine della presentazione del nuovo Defr 2021-23 – ma le misure varate a Roma per affrontare la fase della post pandemia, sono intervenute in maniera uguale al Nord e al Sud, come se un medico avesse in cura due gemelli e ne visitasse solo uno, perché la cura decisa per uno va bene anche per l’altro, mentre hanno diverse patologie”. Ci sono modi diversi di trattare i malati. Solo che la Sicilia, grazie a una classe dirigente che non sempre ha brillato per lungimiranza, oggi assume quasi i connotati del malato terminale. E oltre a non riuscire più a programmare un singolo investimento, non riesce neppure a “conservare” le dotazioni elargite dall’Europa – i fondi rimodulati di recente fanno parte del Fesr, il fondo europeo per lo sviluppo regionale – e sollecitare i comuni, o chi per loro, a dare un’accelerata nella presentazione dei progetti. E’ in questo modo che i soldi si perdono, e difficilmente torneranno. E’ vero, c’è sempre un’altra programmazione a cui aggrapparsi. Ma il mondo cambia e la tecnologia si evolve. Solo il Ponte sullo Stretto è sempre rimasto lo stesso. Una boutade.